
Clizia
Una donna-girasole per salvare l’uomo dalla barbarie
Tra le varie riprese della mitologia classica nella letteratura italiana contemporanea, risulta particolarmente interessante il recupero del mito di Clizia da parte di Montale, in quanto l’autore non si limita a rielaborare un racconto tratto da autori classici in chiave moderna, ma impiega la storia della ninfa trasformata in girasole per rappresentare la propria relazione sentimentale con la studiosa americana Irma Brandeis nel periodo storico caratterizzato dagli orrori immediatamente precedenti la II guerra mondiale. Con la riproposizione del mito di Clizia, l’autore recupera anche l’idea di matrice stilnovistica di una donna-angelo capace di salvare l’uomo dall’inquietudine determinata dal continuo e monotono ripetersi delle azioni, tema portante delle poesie di Montale nella prima raccolta Ossi di seppia, e dalla barbarie della guerra imminente.
Il mito è attestato nelle Fabulae di Igino e nelle Metamorfosi di Ovidio. In entrambe le opere Clizia è presentata come una ninfa perdutamente innamorata del dio Sole, il quale tuttavia la abbandona perché invaghitosi della figlia del re Orcamo, Leucotoe, che riesce a sedurre assumendo le sembianze della madre di lei. Clizia, dunque, mossa dalla gelosia e dal desiderio di vendetta, rivela ad Orcamo la relazione della figlia e il re punisce la figlia seppellendola viva. Il Sole, disperato, rifiuta di vedere ancora Clizia, che trascorre gli ultimi giorni di vita senza toccare acque né cibo e fissando il percorso del suo amato nel cielo, finché il dio, mosso a pietà della ninfa, decide di trasformarla in un fiore capace di cambiare inclinazione a seconda dello spostamento del sole durante la giornata. Il racconto di Ovidio, poeta sempre attento nel cogliere collegamenti sottostanti alla struttura del reale, pone l’accento sulla la fin troppo chiara analogia che sussiste tra il comportamento di Clizia nei suoi ultimi giorni di vita terrena e il fiore in cui essa viene trasformata: la ninfa, infatti, anche sei in una nuova forma, non muta il proprio atteggiamento e continua a seguire la corsa del Sole nel cielo, non con il solo sguardo ma chinandosi completamente verso di lui, secondo la posizione che occupa nel cielo. Proprio dall’idea di “piegarsi” si originerebbe il nome proprio della ninfa, che sarebbe coniato sulla base del greco κλιτός “che inclina” o κλιτέον “che deve inclinare”, entrambe voci del verbo κλίνω “piegare”.
La figura di Clizia compare per la prima volta nella seconda raccolta pubblicata da Eugenio Montale nel 1939, Le occasioni. Si tratta, come si evince dal titolo, di poesie strettamente connesse ad esperienze dell’autore, anche se il legame autobiografico è quasi sempre taciuto, sulla base del principio, elaborato dallo stesso autore, di “esprimere l’oggetto e tacere l’occasione”. Le poesie della raccolta sono composte dopo il trasferimento di Montale a Firenze nel 1927 e il suo inserimento in un gruppo di intellettuali che faceva capo alla rivista Solaria, le cui posizioni erano ispirate ad un culto umanistico della cultura come estremo baluardo contra le barbarie rappresentata dalla società di massa e dall’avvento della dittatura fascista. Dall’ambiente in cui Montale si trovain generale un innalzamento stilistico della poesia montaliana al fine di creare una poesia più densa ed oscura, ma ben lontana dalla “poesia pura” degli ermetici, la cui difficoltà consista non nel cogliere le allusioni che collegano vari oggetti e aspetti della realtà, ma nel capire il significato profondo degli oggetti citati dal poeta. Ed è proprio in questo particolare contesto storico e ambiente letterario, che Montale matura l’idea di impiegare il mito di Clizia per la rappresentazione di una donna reale e appena conosciuta, Irma Brandeis, studiosa dantista americana di origini ebraiche, con la quale aveva instaurato da subito un rapporto. Il nuovo ambiente letterario in cui Montale si trova a operare e l’incontro con Irma suggeriscono al poeta di recuperare dalla tradizione stilnovistica il motivo della donna-angelo, novella Beatrice, unico essere capace di indicare una via di salvezza all’uomo in quanto estraneo al mondo e alla situazione do degrado in cui versa. E Montale per identificare questa figura non trova nome migliore che quello di Clizia, che, per la sua costanza nel volgere lo sguardo al sole, diventa simbolo di coloro che non si arrendono al declino del mondo tenendo fisso lo sguardo verso la cultura. E così le liriche della raccolta mostrano una sostanziale e forte opposizione tra il poeta imprigionato nel ripetersi sempre uguale della vita e nel tempo che scorre inevitabilmente verso la guerra, e l’attesa di un’epifania della donna, immagine vivente della cultura, capace non di arrestare la guerra in sé, ma di preservare l’uomo dalla barbarie imminente.
Per analizzare la ripresa del mito di Clizia ne Le Occasioni e contemporaneamente definire le fasi del rapporto che si instaura tra il poeta e Irma Brandeis, è sicuramente utile la lettura di alcuni testi, inseriti da Montale, nella parte della raccolta intitolata “Mottetti”, contenente ventuno brevi poesie, tutte indirizzate alla donna. Il primo di questi componimenti, Lo sai debbo riprenderti e non posso, compare per la prima volta sulla “Gazzetta del Popolo” il 5 dicembre 1934. In questo teso Montale introduce il tema della tensione tra se stesso e la donna: nel contesto familiare della città di Genova, il poeta si muove smarrito e senza meta mentre Clizia è rappresentata chiusa nella consapevolezza della sua distanza e indifferente nei confronti del suo innamorato, al quale resta solo la certezza dell’Inferno.
Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.
Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzìo lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.
E l’inferno è certo.
Un atteggiamento molto diverso della donna è invece descritto nel mottetto Ti libero la fronte dai ghiaccioli, scritto probabilmente nel 1940, nel quale Montale immagina che la Irma, che in quel periodo si trovava realmente negli Stati Uniti d’America, scenda come un angelo dalle “alte nebulose”, per visitare il poeta, il solo capace di percepire la sua presenza e di ricavarne la grazia. Il poeta si mostra premuroso nei confronti di una donna-angelo, che qui appare particolarmente fragile, bisognosa di tenerezza e delle cure dell’autore, il quale infatti libera la sua fronte dal ghiaccio, osserva le sue penne rovinate dal vento e veglia sul suo riposo. Nessuno si accorge della sua presenza e Montale è geloso custode del suo segreto.
Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.
L’ultimo testo proposto, Nuove stanze, presenta invece il personaggio di Clizia-Irma come forte nell’opporre alla guerra ormai imminente i suoi “occhi d’acciaio”: l’intelligenza e la cultura non possono fermare la guerra, ma chi conserva chiarezza intellettuale può trovare salvezza oltre la catastrofe. La poesia si apre sull’immagine di Montale e della donna che giocano a scacchi ed in particolare si concentra sul gesto di spegnere la sigaretta e sugli anelli che Irma-Clizia porta alle dita, quasi oggetti incantati, che mescolandosi al fumo, sembrano dare luogo ad una costruzione fantastica, una sorta di città della Cultura. Tuttavia si tratta di un sogno vano e quando si spalanca la finestra, i due sono violentemente riportati alla realtà dei preparativi alla Seconda Guerra Mondiale. La poesia si apre dunque a nuovi personaggi che non conoscono Clizia, e quini neanche la Cultura, e che si muovono sulla scacchiera della Storia. Di fronte a tale esercito lo sguardo della donna è incapace di agire e lei rimane in una situazione di pericolo. Il finale del componimento è però positivo: l’esercito di pedine sarà portato alla morte dalla sua stessa ignoranza, mentre coloro che assieme a Clizia avranno opposto “occhi d’acciaio” alla barbarie imminente saranno capaci di resistere alla Guerra per mezzo della Cultura.
Poi che gli ultimi fili di tabacco
al tuo gesto si spengono nel piatto
di cristallo, al soffitto lenta sale
la spirale del fumo
che gli alfieri e i cavalli degli scacchi
guardano stupefatti; e nuovi anelli
la seguono, più mobili di quelli
delle tue dita.La morgana che in cielo liberava
torri e ponti è sparita
al primo soffio; s’apre la finestra
non vista e il fumo s’agita. Là in fondo,
altro storno si muove: una tregenda
d’uomini che non sa questo tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi tu sola
comporre il senso.Il mio dubbio d’un tempo era se forse
tu stessa ignori il giuoco che si svolge
sul quadrato e ora è nembo alle tue porte:
follia di morte non si placa a poco
prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo,
ma domanda altri fuochi, oltre le fitte
cortine che per te fomenta il dio
del caso, quando assiste.Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco
tocco la Martinella ed impaura
le sagome d’avorio in una luce
spettrale di nevaio. Ma resiste
e vince il premio della solitaria
veglia chi può con te allo specchio ustorio
che accieca le pedine opporre i tuoi
occhi d’acciaio.
La terza raccolta di Montale, La bufera e altro, pubblicata nel 1956 nasce nel contesto radicalmente diverso del dopoguerra. Tra le figure dominanti della raccolta si trova nuovamente la donna-angelo, incarnazione dei valori del poeta nella Storia, che potrebbe offrire una salvezza per tutti gli uomini, ma è costretta dalle circostanze storiche a fuggire in un’oltrecielo irraggiungibile. Il momento della partenza della donna è descritto da Montale nella famosa poesia La primavera hitleriana, nella quale la realtà della figura di Irma Brandeis si mescola continuamente alla simbologia del personaggio di Clizia: nel contesto della visita di Adolf Hitler a Firenze nel 1938, il poeta descrive la reale partenza della studiosa americana costretta a fuggire negli Stati Uniti a causa delle sue origini ebraiche, ma questo avvenimento della vita personale del poeta diventa l’immagine della partenza della cultura da una Terra ormai dominata dalle società di massa e dai totalitarismi. Tuttavia nel nuovo contesto del dopoguerra, che lascia il poeta deluso per il trionfo dei partiti di massa e la guerra fredda che prospettava continuamente il rischio di nuove catastrofi atomiche, compaiono due nuove figure femminili, sempre immagini di donne reali, che vanno a riempire quello spazio vuoto lasciato da Clizia, ma che incarnano valori ben diversi. La prima di essa è chiamata dal poeta “Volpe” ed è la poetessa Maria Luisa Spaziani, per cui l’autore nutre un amore infelice: essa rappresenta la vitalità istintuale e l’eros insostenibile. La seconda è la moglie del poeta, Drusilla Tanzi, che egli chiama affettivamente “Mosca” a causa della forte miopia, ed è espressione di quella sapienza umile e popolare che si manifesta nella vita quotidiana. Clizia, immagine della cultura e della poesia, è ormai lontana e il poeta si arrende in un certo senso al mondo. La poesia sta diventando impossibile e per questo il poeta, dopo la pubblicazione di questa raccolta, si chiuderà in un lungo silenzio, dal quale uscirà solo con la pubblicazione di Satura.
Fonti
- Croce, Franco, Storia della poesia di Eugenio Montale, Genova, Costa & Nolan, 2005
- Luperini, Romano, “Nuove stanze” e l’allegorismo umanistico di Montale in Id., Il dialogo e il conflitto, Roma-Bari, Laterza 1999
- Luperini, Romano, Storia di Montale, Roma-Bari, Laterza, 1992
- Montale, Eugenio, La bufera e altro, Milano, Mondadori, 2019
- Montale, Eugenio, Le occasioni, Milano, Mondadori, 2018
- Ovidio, Metamorfosi, a cura di A. Barchiesi, vol. II, Milano, Mondadori, 2007 [commento di A. Barchiesi e G. Rosati]
*L’immagine in copertina è D. G. Rossetti, Pia dei Tolomei, 1868-1880 (olio su tela), crediti: Spencer Museum of Art, University of Kansas, Lawrence, KS, USA

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