
Il volante dell’auto
Il volante dell’auto
quella nuova comprata coi soldi racimolati
dalla tua giovinezza
sente le tue dita nerborute
segue il tuo braccio increspato di vene
un mare calmo sconquassato di vento e schiuma
mi lambisce.
Parli la lingua dei sorrisi
non quella stantia dei professori all’università
le tue parole
non pietre grevi di storia
non pane azzimo masticato di noia
un cianciare sordo
un rabdomeggiare tronfio di termini giusti
acccumulandone infiniti di errati
no
le tue parole sono sillabe facili
come i versi di Caproni
che tu non conosci
ed è bello
troppo bello
che tu non lo conosca
che il mondo mio
il tuo
siano separati da un ponte lungo lunghissimo come quelli tibetani
e su questo ponte
sorretto dall’aria
(come tutto alla fine)
ci possiamo incontrare
andare su e giù
e mentre tu mi mostri il tuo di mondo
troppo bello
che io non guardi altro che te
e mentre io ti indico i Caproni i Prevert, gli ideali, i Cezanne
tu non guardi che me
le tue parole insomma
sono gioco
squilli di suono
rassegnate a non essere giuste
contente d’essere belle.
La tua pausa
di labbra serrate
di sguardo fisso
è musicale
è fiato sospeso prima della ripresa del valzer
dimostrazione per assurdo,
per mancanza dell’importanza di ciò che segue.
Nelle tue parole
c’è l’entusiasmo di millenni d’umanità
l’autentico stupore davanti al primo sole del disgelo
davanti all’esserci.
Nelle tue pause
c’è l’hic et nunc
l’om che precede il samsara.
Parli la lingua degli antenati
sussurrata alla terra
con le mani sudate premute sul suolo
col cuore ricolmo di gratitudine
per un po’ di pioggia.


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