Inedito,  Prosa

Aurora

Aurora fumava, guardando la luna fuori dalla finestra.
Nel letto sfatto c’era il suo ennesimo sbaglio.
Dio quanti sbagli aveva fatto con lui, e quanti avrebbe voluto farne ancora. Ma allora perché si sentiva così sola? Perché sentiva che quello non le bastava più?
Certo, i baci, le carezze, i morsi, i gemiti, la facevano sentire bene, la facevano sentire viva, ma le mancava qualcosa. 

Lo guardava dormire, sembrava finalmente in pace, da sveglio non lo era mai. Aveva sempre quest’aria stanca, di chi ha il cuore disilluso e l’animo ferito, aveva la rabbia negli occhi e la tristezza sulle labbra. E allora, mentre fumava, e guardava un po’ lui e un po’ la luna pallida, Aurora si rese conto di cosa le mancava.
Amore.
Lui le dava tanto, passione, rispetto, persino felicità, ma l’amore? Lui non poteva amarla, come può amare un animo così ferito? Aurora non lo biasimava, non era arrabbiata per questo, anzi, lo capiva. Per tanto tempo lei aveva chiuso il suo cuore a qualsiasi emozione. E allora perché lo amava? Perché lo amava ogni attimo? Anche quando non se lo meritava, anche quando era difficile, anche quando amarlo le faceva male. Perché lo amava anche se non avrebbe dovuto?

Improvvisamente le mancò il respiro. Così com’era, in mutande e reggiseno, corse sul balcone. Si lasciò andare a un lungo sospiro. Tremava. Quel senso di angoscia opprimente non la lasciava.
Era sola. Aurora pensava a fantasmi che ormai erano scomparsi. E non si sentiva più bella. Non si sentiva più degna. Erano le tre di notte e lei si sentiva vulnerabile. Perché non riusciva a dormire? Perché finiva sempre che le cose che non riusciva a dire a nessuno le raccontava alla notte? Accese un’altra sigaretta. Aspiró il fumo. Il respiro si calmó. Non riusciva più a pensare. Non riusciva più a piangere. Non riusciva più a guardare la luna. Si ricordò all’improvviso di quando sua madre le disse “Aurora, ad un certo punto devi spegnere tutto quello che sta spegnendo te”.
Rientrò in casa, con quelle parole che le rimbalzavano in testa. Lo guardò. Si avvicinò, gli scostó i capelli dal viso e gli sussurró “Io ti aspetterò, perché altre mani, altri morsi, altri occhi, non hanno senso. Ti aspetterò perché la tua assenza è meno dolorosa di starti accanto sapendo che non mi ami. Ti amerò a distanza, senza pretendere di averti accanto. Sosterrò le tue scelte, senza dirti che mi fanno male”
Si rivestì e non lo guardò più. Se ne andò. Niente saluti. Niente ultimo bacio. Niente lacrime. Chiuse la porta. Accese una sigaretta e sospiró.

Cortometraggio

Da questo racconto i ragazzi della compagnia teatrale Aftalina hanno tratto un cortometraggio, a cui vi rimandiamo, curato e recitato dalla stessa autrice del racconto: Chiara Gellato.

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