
Fernanda Pivano e i mostri americani
Oggi scrivo di un saggio, di quelli da rileggere: Mostri dagli anni Venti (compralo qui) L’autrice è Fernanda Pivano.
Partiamo da lei.
Partiamo da lei, donnina timida, forte educazione cattolica, tradizionale famiglia italiana medio borghese, la giovinezza passata all’ombra del Duce, l’antifascismo come valore costituente della sua persona.
Studia al liceo Massimo d’Azeglio di Torino, compagna di classe di Primo Levi, Cesare Pavese come insegnante di letteratura italiana. Ed è proprio il malinconico Pavese che durante gli anni dell’università la rincontra, le chiede su cosa stia scrivendo la tesi.
– Sulla letteratura inglese. –
– E perché non su quella americana? –
Già. Perché no? Da qui cambia tutto, lui le presta quattro capolavori della neonata letteratura americana ed è il primo bacio di un amore che Nanda porterà nel cuore tutta la vita. Si ritrova tra le mani Addio alle armi di Ernest Hemingway (compralo qui), Foglie d’erba di Walt Whitman (compralo qui), Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (compralo qui) e l’autobiografia di Sherwood Anderson (compralo qui).
Fernanda Pivano – lo dico forse con eccessivo trasporto, ma, semplicemente, la adoro – è stata quella donna che nessuno si aspettava, ma che con riservatezza e timidezza ha fatto coraggiosamente entrare gli elefanti americani, finora rimasti sulla soglia, nella stanza un po’ ermetica della letteratura in Italia.
Libri editi da decenni negli Stati Uniti, vengono tradotti e portati clandestinamente nella penisola dalla piccola Nanda. Una traduttrice formidabile, un’intelligenza acutissima, una sensibilità elegante e sfrontata al tempo stesso.
Dopo una brutta faccenda con la polizia di regime, scampa per poco all’arresto, per aver tradotto proprio Addio alle armi. Riesce a scampare all’arresto soltanto perché la polizia – incredula che davvero una donna potesse tradurre e curare un’opera – credono di star cercando un certo Fernando; arrivati a casa sua, arrestano dunque suo fratello, rilasciato dopo pochi giorni. Hemingway, il condottiero, l’uomo alla continua ricerca di guerre da combattere, la chiama da Cortina, dalla sua Villa Aprile. Quando lei lo raggiunge si fa raccontare tutto, bevendo il Gordon Gin; appena scopre che lei è astemia borbotta:
You should’nt do that to me, daughter.
Era superproibito (l’Antologia di Spoon River) quel libro in Italia. Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare […], e mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto.
Fernanda Pivano
Traduce tutti, scrive scrive scrive, senza sosta, lascia che gli elefanti sconvolgano la stanza ornata di classici da museo. Scrive da dea della decadenza commossa Fernanda Pivano, «con l’anima sulle labbra», come diceva lei stessa citando Masters.
Lo so, non ho parlato del saggio, che è la raccolta degli interventi giovanili, i più sinceri, quando scoprì i primi autori americani. Ma non importa. Val la pena leggerlo, gustarsi un viaggio allucinogeno nell’America sconquassata del ‘900, con una guida stupenda. Val la pena di leggere la tenacia e l’ostinazione con un cui si può inseguire il genio e il bello calato nella contemporaneità, anche nella provinciale Italia, chiusa nel suo Rinascimento non ancora superato. Val la pena di lasciarsi travolgere da questi Mostri degli anni Venti, ubriachi e tristi, dalla loro estetica nuova e travolgente, dalla loro scrittura titanica e totalizzante, da chi richiede un posto importante nella cultura del suo tempo. Ma non solo per questo. Anche e ancor di più perché merita di essere letta la Nanda, con la lingua tagliente quasi come furono ritrosi i suoi occhi, la sua scrittura commossa e commuovente, autorevole Mostro del Novecento italiano.
*L’immagine in copertina è una foto Fernanda Pivano col marito Ettore Sottsass nella loro casa di Milano negli anni Settanta, scattata da Giuseppe Pino, nel 1969.
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