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Nuovo commento: Il libro è altrove

Giorgio Manganelli

Giorgio Manganelli (1922-1990) fu sicuramente uno degli esponenti più singolari del Gruppo 63, il gruppo, nato nel ’63, appunto, composto da quegli scrittori, artisti, poeti che aderirono alla corrente della neoavanguardia. La neoavanguardia, proprio per la sua tendenza a rompere col passato prediligeva la poesia, per sua natura più libera e multiforme. Manganelli, invece, si dedicò solamente alla prosa, ma mai al romanzo, genere che disprezzava. L’unica volta che si cimentò a scrivere romanzi fu in Centuria: cento piccoli romanzi fiume (compralo qui) ma lo fece nel suo modo totalmente originale. I romanzi di Centuria sono solo idee di romanzi, scritti che stanno in un foglio solo, in cui i personaggi, i luoghi, gli intrecci si annullano e rimangono irrisolti, proprio per l’astio di Manganelli verso il romanzo. Italo Calvino, parlando proprio di Manganelli, nel n.8 del Menabò lo definì l’ultimo grande autore di quella grande tradizione italiana che è la prosa, genere che stava tornando alla ribalta, dove con prosa Calvino intendeva quel genere di narrazione che non si presenta come verisimile, ad esempio le Operette morali di Leopardi.

Nuovo commento

Nel ’69 Manganelli pubblicò Nuovo commento (compralo qui). Il titolo è già un programma, perché Manganelli presenta un dettagliatissimo e puntigliosissimo commento ad un libro. C‘è solo un problema: il libro non c’è e non esiste. Forse è esistito ad un certo punto nella mente dell’autore, ma pubblicare quel libro non era certo nelle intenzioni di Manganelli. Manganelli, con Nuovo commento, compie un’operazione originalissima. Il commento stesso, disgiunto dal libro che dovrebbe commentare e di cui normalmente sarebbe semplicemente un supporto, un ausilio alla lettura ed alla comprensione, si autonomizza e diventa esso stesso il libro. Il commento, svincolato dal suo testo di riferimento, lo ingloba e prende il suo posto.

Così facendo, Manganelli vuole mostrare il rapporto tra il linguaggio e il mondo. Così come il commento ha preso il posto del testo, il linguaggio, che è come un commento al mondo, come il commento prende il posto di ciò di cui parla, facendolo sparire e ponendosi come assoluto. L’altra conseguenza è che la letteratura non parla del mondo, ma parla sempre di altra letteratura. Il discorso letterario è sempre un discorso di secondo grado. Questa è l’idea centrale di tutta la produzione manganelliana. la letteratura non ha nessuna relazione con il contesto nel quale si esprime e non ha nulla a che vedere con la vita.

La letteratura, per Manganelli, è il regno della morte, il regno in cui si sgretola ogni certezza del significato. L’opera d’arte letteraria basta a sé stessa, è autosufficiente e si articola secondo una propria strategia interna, che è linguistica e retorica, e solo questa organizzazione interna può legittimare l’opera d’arte. Allo stesso modo il linguaggio si costituisce autonomamente nella più totale indifferenza a dei referenti concreti e l’unica cosa che lo definisce è la sua coerenza interna. La letteratura non ha nessuna implicazione con la realtà concreta, ma crea lei stessa una contro-realtà. Da un’idea di letteratura autosufficiente deriva un rifiuto di qualsiasi forma di realismo, non essendoci una realtà da rappresentare, inoltre questo atteggiamento anti-realistico va di pari passo con qualsiasi interpretazione morale della letteratura. La letteratura può avere valore conoscitivo solo se slegato da valori pedagogici e morali.

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La letteratura si auto-organizza e autogiustifica e non ha nessun legame con la realtà. Significativo, nella visione manganelliana di letteratura come regno della morte, è il fatto che il primo libro di Manganelli, Hilarotragoedia (1964, compralo qui) sia un manuale, o per meglio dire uno pseudomanuale, in cui l’autore vuole spiegare come si scende nell’Ade, il regno della morte, fino ad arrivare al punto centrale del nulla. Il libro vorrebbe insegnare al lettore come assecondare la volontà discenditiva dell’uomo ed insegnargli a raggiungere l’Ade, ma questo insegnamento non è chiaramente definibile e quindi lo stesso autore è costretto a procedere per ipotesi o attraverso una narrazione disarticolata e priva di logica. La conclusione stessa è estremamente significativa. Il libro, infatti, si conclude con due punti (:). Questi due punti sono, sì, una sospensione sul nulla, un rimando alla morte, ma anche un invito al lettore a completare ciò che manca attraverso il gioco delle ipotesi, e inoltre una dichiarata sconfitta delle parole e della letteratura che mancano di arrivare ad una conclusione.  

* L’immagine in copertina è una foto di Evelyn Clement, su Unsplash.

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