Aftalina,  Articolo

Il nucleo del teatro: il processo creativo e il dramaturg

Non può esistere uno spettacolo senza attori (anche se Beckett ci ha provato), ma può esistere uno spettacolo senza processo creativo.

Iniziamo dicendo questo. In teatro si parla molto di processo creativo. È un eroe sconosciuto con le capacità di mettere completamente in discussione un testo oppure di far nascere un abete da semi di quercia. Un grande calderone che contiene le idee di tutti coloro che lavorano al brainstorming, regista, attori, dramaturg, assistente alla regia, e da cui deve nascere una regia. Ma nel concreto:

Che cos’è un processo creativo?

E a cosa serve? Come si struttura? Ma soprattutto: cosa succede se si porta in scena uno spettacolo senza processo creativo?

Cerchiamo di rispondere con ordine. Il processo creativo in teatro può essere definito come quel momento di lavoro sul testo e sulle idee da quando si iniziano a buttare giù i primi spunti fino a quando non si ha un’azione scenica costruita. È difficile delimitare i confini entro cui opera il processo creativo, perché può iniziare ben prima delle prime prove con gli attori, magari nella testa del regista, o del dramaturg, così come può proseguire ancora per molto durante la fase di prove. Il processo creativo è quel percorso di brainstorming, documentazione, ricerca, autoanalisi, analisi del testo, analisi critica dei temi da affrontare che rende possibile uno spettacolo teatrale come si deve.

Come dice la parola stessa, è un processo, e non ci sono delle vere e proprie regole per metterlo in atto. Ogni regista ha un suo metodo, oppure un non-metodo. Ho avuto la fortuna di lavorare per una settimana con Antonio Latella, regista teatrale di grande fama nel teatro contemporaneo italiano e anche tedesco. Ho scoperto il non-metodo (appunto) di approccio al processo creativo di Antonio. Erano in esame le sei tragedie di Pasolini (Pilade, Orgia, Porcile, Calderon, Affabulazione e Bestia da stile), tra l’altro, l’artista più complesso del Novecento, a mio avviso, per quanto riguarda la scrittura per il teatro. Il non metodo di Latella consisteva nell’aprire e chiudere porte, continuamente, leggendo man mano le scene di ognuna delle tragedie, pur sapendo di dover lavorare, alla fine, su una sola. È stato inquietante quanto affascinante scoprire che ricostruire il pensiero, il messaggio che c’è dietro al teatro di Pasolini non fosse altro che una caccia al tesoro. Aiutati da Federico Bellini, suo dramaturg di fiducia, il processo creativo si è rivelato sperimentazione, analisi, ma anche fantasia, possibilità, esplorazione.

“Il processo creativo è anche quando cammini per il centro e vedi una parrucca in vetrina, e ti si aprono nella mente idee per quella scena”

sottolinea Latella.

È mettersi in gioco, costruire e poi distruggere e ricostruire di nuovo sopra le macerie, valutare una strada per costruire l’azione scenica e ogni sua possibile alternativa pur di arrivare all’anima di chi guarderà il nostro lavoro. Si fa parlando, discutendo, scrivendo, ascoltando musica o guardando video, riempiendo un muro di postit.

The Decline Of The Drama, di Honoré Daumier, 1866, litografia, credit

Sostanzialmente, il processo creativo serve per farsi strada nella nebbia, e per evitare di risultare illustrativi nel mettere in scena un testo. O meglio: serve per evitare di mettere in scena un testo al posto di uno spettacolo.

Come si struttura un processo creativo?

Qui possiamo scolpire nella pietra l’importanza del dramaturg. Questo ruolo così misterioso (almeno in Italia) nasce in Germania nell’700 con Lessing (quindi ancora prima della regia, che buffa contraddizione), come critico, come guida di un pensiero globale di una messa in scena e come manager e direttore artistico dei teatri. In altri paesi europei, infatti, svolge un ruolo molto particolare a cavallo tra l’artistico, l’imprenditoriale e il tecnico. Qui in Italia, è ancora visto “solamente” come consulente drammaturgico o letterario del regista.Il dramaturg è quella persona che porta spunti, si documenta, costruisce collegamenti tra varie discipline, per portare avanti il processo creativo. Lavora con immagini, testi, video, libri, articoli di giornale, arte visiva. Tutto il necessario per portare spunti e stimoli al regista e agli attori durante la cosiddetta fase di lavoro “a tavolino”.

Per fare un paragone chiaro e limpido: se l’allestimento di uno spettacolo è un viaggio che incontra un bivio, il regista è il guidatore dell’auto, gli attori sono il motore, lo spettacolo è la destinazione, il processo creativo è il bivio e il dramaturg è Google Maps. (Potete ridere, Federico Bellini lo farebbe di sicuro). Questo ci fa capire molte cose: certo, si può allestire uno spettacolo senza dramaturg, esattamente come si può guidare senza Maps. Se il viaggio è semplice e veloce non si incontreranno problemi, ma se la strada ha molti bivi, è tortuosa ed è la prima volta che la percorriamo, senza Maps ci si perde. Per rispondere alla quarta domanda: ecco cosa succede trascurando il processo creativo: ci si perde.

Ovviamente questo paragone è molto superficiale: a volte il regista insieme agli attori è in grado di guidare egregiamente l’auto senza dramaturg anche su strade sconosciute. È soggettivo, e dipende anche molto dal testo su cui si lavora. Per provare a capire come strutturare un processo creativo, potremmo dire che bisogna tenere a mente sempre qualche lampadina accesa, per quanto mi riguarda. Bisogna ricordarsi, come già detto prima, che si sta cercando di mettere in scena uno spettacolo, non solo un testo. Abbiamo innanzitutto il compito di portare in sala un messaggio, un’idea, un’emozione, prima ancora di un testo o di una buona storia. Altrimenti basterebbe dare al pubblico il copione e dire di leggerselo a casa. Prima di incaponirsi su che testo portare in scena, si cerchi di capire che cosa vogliamo dire alla gente seduta in sala, in poche parole.

Inoltre, un’altra cosa che bisogna ricordare è che il teatro non è bello solo perché è teatro. Fare un bello spettacolo o partire da un bel testo non è la giustificazione che ci fa essere bravi teatranti. Magari lo spettacolo è bello, il testo è scritto bene, ma alla gente in sala arriverà poco, o il giorno dopo non si ricorderanno neanche cosa hanno visto la sera prima. Per dare qualche consiglio, per quanto mi riguarda e per quanto mi dica la mia piccola esperienza, non bisogna accontentarsi, bisogna cercare, fiutare ogni possibile spunto, e bisogna farlo con il cuore. È fondamentale. Sotto a ogni parola del testo che si mette in scena vi sono altre mille parole non scritte che ci dicono qualcosa. Non sono da trascurare, nessuna delle mille. Sarà così che in scena riusciremo a portare il nostro pensiero, ed essere finalmente liberi.

*L’immagine in copertina è The Weird Sisters (Shakespeare, MacBeth, Act 1, Scene 3), di Henry Fuseli, 1785, credit

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