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Erodoto di Alicarnasso

Questa è l’esposizione delle ricerche di Erodoto di Alicarnasso perché le imprese degli uomini col tempo non siano dimenticate, né le gesta dei grandi e meravigliose così dei Greci come dei Barbari rimangano senza gloria, e, inoltre per mostrare per quale motivo vennero a guerra fra loro.

– Erodoto, Storie, I, 1

Erodoto, considerato il padre della storiografia e dell’antropologia, nacque fra il 490 e il 480 a.C. ad Alicarnasso, città e porto della Caria, una regione situata sulla costa occidentale dell’Asia Minore.

Alicarnasso fu colonizzata da genti di stirpe dorica attorno al 1000 a.C., ma successivamente cadde nell’orbita persiana e venne instaurata una tirannide appoggiata dai re persiani. Le guerre persiane, scoppiate attorno al 499 a.C. e concluseti nel 479 a.C., videro le póleis (“città”, in greco) greche uscire vincitrici dal conflitto contro l’impero persiano e portarono a un completo sconvolgimento dei rapporti di potere anche in quell’area dell’Asia Minore.

Erodoto e Paniassi, celebre poeta epico, indovino e membro della famiglia di Erodoto, cercarono di abbattere la tirannide di Ligdami II, ma il loro insuccesso portò a tragiche conseguenze: Paniassi fu ucciso ed Erodoto fu costretto a fuggire a Samo, città ionica alleata di Atene e aderente alla lega delio-attica, creata per difendere i Greci d’Asia e delle isole dalla Persia.

In questo periodo dovremo collocare la maggior parte dei viaggi di Erodoto, che furono fondamentali per fornirgli materiale utile alla composizione della sua opera storiografica, le Storie: si recò in Egitto, poi in Fenicia, Mesopotamia e nel Mar Nero, dove entrò in contatto con gli Sciti, popolo nomade dell’Asia centrale.

Successivamente Erodoto partecipò ad una ribellione che pose fine alla tirannide di Ligdami II e, dal 454 a.C., dopo essersi affrancata dal dominio persiano, Alicarnasso entrò a far parte della lega delio-attica.

Il suo rapporto con Atene fu stretto: amico di Pericle e Sofocle, attorno al 444/443 a.C. partecipò, insieme ad altri celebri personaggi come il sofista Protagora e l’architetto Ippodamo di Mileto, alla fondazione di Turi, colonia panellenica nella Magna Grecia, dove, secondo la tradizione antica, morì e fu sepolto. A sostegno di questo suo legame con la città di Turi c’è una variante del proemio delle Storie, nota già nel IV secolo a.C. e citata anche nella Retorica di Aristotele (1409a), che lo identifica come “Erodoto di Turi” e non come “Erodoto di Alicarnasso”: questo perché, probabilmente, avrebbe assunto anche la cittadinanza della nuova colonia.  

Non si conosce la data della morte di Erodoto, ma sicuramente avvenne dopo il 430 a.C., dal momento che lo storico conosce alcuni episodi della fase iniziale della guerra del Peloponneso, il cui inizio fu nel 431 a.C.

Le Storie ci sono giunte in nove libri, ognuno dei quali porta il nome di una delle nove Muse, figlie di Zeus e Mnemosine e divinità protettrici del canto e della danza: Clio, Euterpe, Talia, Melpomene, Tersicore, Erato, Polimnia, Urania e Calliope. Questa suddivisione dell’opera non è considerata dagli studiosi quella originale, ma è attribuita ai filologi alessandrini: la genesi del testo erodoteo è ancora oggetto di discussione. Certa invece è la destinazione del lavoro di Erodoto: le Storie furono composte per essere declamate oralmente nel corso di pubbliche esibizioni.

Nel Prologo (I,1), lo storiografo, per prima cosa, si presenta e specifica quale sarà l’argomento del suo lavoro: il rapporto fra i Greci e i Persiani e, soprattutto, le cause che hanno portato queste due realtà a scontrarsi. Si rivela uno storico imparziale: riporta le opere degne di menzione, i vizi e le virtù sia dei Greci sia dei Barbari e crede che ciò che li distingue sia il sistema politico che li regge (la democrazia per i Greci, la monarchia per i Persiani).

Ma Erodoto non si limita alla descrizione sistematica dei due popoli, ma riporta tutto ciò che, a suo parere, è meraviglioso e degno di menzione: non solo, quindi, le ragioni che portarono alla scoppio delle guerre persiane, ma anche i costumi di popolazioni lontane, geografia, costruzioni architettoniche, religioni, leggende, oracoli e piccole realtà che potessero affascinare, intrattenere ed incuriosire l’uditorio presente alle esibizioni pubbliche.

Proprio per questo suo interesse nei confronti delle diverse culture dei popoli viene definito il “padre dell’antropologia”: nelle sue sezioni etnografiche descriveva prima la regione in questione (confini, clima, territorio, conformazione, flora e fauna) e poi gli uomini che la abitavano (origine, stirpe, passato, modo di vivere, leggi).

A partire dagli storici successivi, e da Tucidide in particolare, storico ateniese vissuto nella seconda metà del V secolo a.C., questi elementi furono eliminati dalla narrazione, privilegiando unicamente la storia politica.

Le fonti di cui Erodoto usufruì per la composizione della sua opera furono principalmente: tradizioni locali trasmesse oralmente, testimoni presenti ad un dato evento, documenti e la visita nei luoghi da parte dello stesso storico durante i suoi viaggi.

Come lui stesso specifica nel secondo libro (Storie, II, 122-123), “quanto a me, io mi sono proposto in tutta la mia storia di scrivere comunque, come le ho sentite, le cose narrate dagli uni e dagli altri”: Erodoto non passa al vaglio della ragione e non discute ogni testimonianza con cui è venuto a contatto, ma si limita a riportare tutto ciò che ha udito o letto, lasciando decidere all’ascoltatore quale sia la versione più convincente.

Le Storie sono scritte in dialetto ionico letterario, ma non si tratta di uno ionico puro: si trovano forme elevate di derivazione poetica, desunte dal lessico omerico, e anche forme attiche. La lingua e il vocabolario sono ricchi e duttili e vi è una predilezione per la struttura paratattica, che permette all’uditorio di seguire agevolmente la narrazione.

Il passo che ho scelto di riportare è il celebre episodio di Creso e Solone, una delle tante novelle che costellano le Storie di Erodoto: le novelle permettono allo storico di Alicarnasso di catturare e rinnovare l’attenzione degli ascoltatori, presentando vicende dilettevoli o moraleggianti, e di interrompere o riprendere i fili della narrazione. Tali inserti si trovano soprattutto nei primi libri e costituiscono una caratteristica peculiare del discorso erodoteo.

Solone fu un importante legislatore e poeta ateniese. Creso, invece, alla morte di suo padre Aliatte, divenne re della Lidia (antica regione della Turchia asiatica): iniziò una politica espansionistica che lo portò a controllare quasi tutti i territori dell’Asia Minore al di qua del fiume Halys (l’odierno Kızılırmak, il fiume più lungo della Turchia). Ed è proprio a Sardi, capitale della Lidia, inondata da questo clima di opulenza e splendore, che è ambientato il dialogo fra il re lidio e Solone, che si era allontanato da Atene per non essere costretto a modificare alcuna delle leggi che aveva promulgato.

Questo incontro fra il legislatore ateniese e il sovrano dei Lidi, però, è cronologicamente impossibile: Solone visse dal 640 al 560 a.C. e compì i suoi viaggi dopo il 594/593 a.C., ossia una generazione prima di Creso.

Il dialogo fra i due si concentra sul tema della felicità umana, che è sapientemente distinta da Solone in fortuna passeggera, εὐτυχίη (si legge eutuchíe) e felicità definitivamente acquisita, ὄλβος (si legge ólbos): nessun uomo può essere definito felice prima di aver terminato la propria vita, dal momento che la condizione umana è mutevole e gli dei invidiosi, pronti a colpire gli uomini che si vantano della loro fortuna.

Inoltre è attestata anche la contrapposizione fra due ideali di felicità, quello orientale e quello greco: il primo crede che la felicità risieda in una ricchezza smisurata, il secondo nella moderazione. Ma si evidenzia anche il contrasto fra sapienza e stoltezza, ignoranza a consapevolezza: la consapevolezza della caducità della vita umana.

* L’immagine in copertina è un’illustrazione di autore sconosciuto, che rappresenta una bireme greca, nel 500 a.C. (oggi esposta al British Museum).

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