Articolo,  Parole d'autore

Aurelio Agostino d’Ippona

"Sant'Agostino", Piero della Francesca, 1455-1460, tempera su pannello

“E come posso trovarti, se di te non ho memoria?”

Agostino, Confessioni, X, 18.26.

LA VITA

Aurelio Agostino nacque nel 354 a Tagaste, una città della Numidia, in Africa Settentrionale; la madre Monica era una fervente cristiana, mentre il padre Fabrizio si convertì al cristianesimo solo prima di morire.

Studiò dapprima a Tagaste, in seguito a Madaura (antica città al confine fra Numidia e Getulia) e poi a Cartagine (in Africa settentrionale), dove, giovanissimo, unendosi a una donna di condizione sociale inferiore, ebbe un figlio illegittimo di nome Adeodato. A diciannove anni la lettura dell’Hortensius di Cicerone, opera per noi perduta che esortava allo studio della filosofia, gli causò una profonda crisi spirituale che lo portò ad accostarsi alla dottrina del manicheismo, la quale tentava di conciliare il carattere di trascendenza, proprio di ogni religione, con aspetti di razionalismo assai stimolanti per un intellettuale. Ma ne rimase presto deluso.

Iniziò a Tagaste la sua carriera di maestro di retorica, poi la continuò a Cartagine, e infine a Roma; grazie alla raccomandazione di Simmaco, il capo del gruppo senatorio pagano, ottenne la cattedra di retorica a Milano e vi insegnò dall’autunno del 384 fino al 386. Qui conobbe un personaggio ritenuto dallo stesso Agostino fondamentale per la sua maturazione religiosa e culturale: Ambrogio, vescovo di Milano. 

Le sue prediche, insieme agli stretti rapporti con i circoli neoplatonici della città e alla presenza della madre che lo aveva raggiunto col figlio, lo portarono alla definitiva conversione. Nel 386 abbandonò l’insegnamento per dedicarsi completamente al servizio di Dio e, dopo alcuni mesi di vita ritirata a Cassiciaco (oggi Cassago Brianza, in provincia di Lecco), nel 387 si fece battezzare da Ambrogio.

Durante il ritorno in Africa, Agostino perse sua madre Monica ad Ostia. Un anno dopo, tornato a Tagaste, condusse una vita ritirata per tre anni e in questo arco temporale anche suo figlio Adeodato morì prematuramente. Aveva già incominciato a scrivere ed era molto conosciuto in Africa.

Nel 391 fu ordinato presbitero a Ippona (oggi Bona, in Algeria) dal vescovo Valerio, a cui successe nel 395: da questo momento, come capo della diocesi, predicò instancabilmente sia a Ippona sia a Cartagine e combatté contro varie sette ed eresie: in un primo momento, soprattutto contro i manichei e i donatisti, i quali, aspirando a una Chiesa perfetta, volevano che i cristiani che si erano piegati alle persecuzioni (consegnando i libri sacri alle autorità imperiali e/o facendo sacrifici pagani per salvarsi) fossero espulsi dalla Chiesa e, nel caso in cui questi fossero chierici, i sacramenti somministrati da loro non fossero più validi. Nella parte finale della sua vita, si scagliò anche contro i pelagiani, i quali sostenevano che gli uomini peccano per libera scelta, inserendosi così nel problema tra grazia (sulla quale insisteva maggiormente Agostino) e libero arbitrio.

Si preoccupò anche dei problemi concreti dei suoi fedeli, sempre più gravi e incombenti man mano che le strutture dell’Impero cedevano dinanzi alle invasioni barbariche, e cercò di elevare il livello morale e culturale del clero africano.

Morì il 28 agosto del 430, mentre Ippona era assediata dai Vandali, il cui re, Genserico, stava procedendo alla conquista dell’Africa Settentrionale.

Possidio, suo amico e discepolo, compose una sua biografia che, insieme alle Confessiones e le Retractationes (entrambe opere agostiniane), è la fonte primaria grazie a cui conosciamo la sua vita e le sue opere.

LE CONFESSIONES

Agostino fu un autore molto prolifico e quasi tutte le sue opere furono composte per andare incontro a richieste specifiche o furono il risultato delle sue predicazioni.

Le Confessiones sono un testo suddiviso in 13 libri e composto all’incirca fra il 397 e il 400: con quest’opera Agostino non solo risponde alle varie critiche mossogli dai manichei e donatisti, ma coglie l’occasione per riflettere sulla sua esistenza passata e per ripercorrere vari episodi della sua vita, dialogando proprio con Dio, a cui si rivolge direttamente alla seconda persona singolare.

In forma di autobiografia spirituale, nei primi nove libri Agostino medita e ripensa agli avvenimenti trascorsi dalla sua nascita al ritorno in Africa (388), avvenuto dopo la sua conversione nel 386. Ciò che il teologo mette in risalto non sono tanto i fatti, quanto le reazioni che essi suscitano nel suo animo, così da far risaltare la sua evoluzione spirituale e tutti gli smarrimenti affrontati per arrivare alla piena coscienza di se stesso e di Dio.

Carattere prevalentemente filosofico hanno invece gli ultimi quattro libri: il decimo e l’undicesimo trattano della memoria e del tempo, mentre il dodicesimo e il tredicesimo sono di argomento esegetico, quindi di studio e di interpretazione critica delle Sacre Scritture.

Infine, il titolo Confessiones deriva dal latino confessio, con cui s’intende sia la confessione e il riconoscimento dei propri peccati sia la lode rivolta a Dio che li perdona: l’uomo, in quanto peccatore, deve identificarsi con Agostino, che usa proprio la sua vicenda personale come punto di partenza per indagare e trattare il rapporto tra uomo e Dio.

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Papiro con frammenti del libro della Genesi in greco, 250-300 a.C. Dublino, Chester Beatty Library.

CONFESSIONES, IV, 4.7- 11.16

Il quarto libro tratta la giovinezza di Agostino, e in particolare i nove anni, dal 373 al 382, della sua piena adesione al manicheismo. I fatti non sempre sono presentati in ordine cronologico e questo ha portato a pensare alcuni studiosi che questo quarto libro sia una sorta di giustapposizione di episodi, senza alcuna unità compositiva; pochi, al contrario, ritengono che Agostino consideri questo arco temporale unito e che disponga semplicemente gli avvenimenti secondo un criterio diverso da quello cronologico. La questione è ancora oggi dibattuta.

L’episodio che andiamo a trattare è quello della commovente amicizia fra il giovane Agostino e un suo coetaneo che rimane innominato, o perché non lo riteneva interessante per i lettori o per preservare l’intimità e la riservatezza di questa sua vicenda personale, che possiamo collocare fra il 374/375 e l’autunno del 376, quando il teologo insegnava ancora nella sua città natale Tagaste.

Dopo averlo incontrato, Agostino tenta di convincerlo a diventare seguace anche lui del manicheismo, intenzione che, almeno inizialmente, sembra essere andata a buon fine; ma l’amico improvvisamente si ammala e, dal momento che lo si credeva in punto di morte, viene battezzato.

Riesce, però, miracolosamente a sopravvivere e Agostino rimane al suo fianco, non si allontana mai, tanto gli è affezionato. Un giorno tenta di scherzare con lui riguardo il battesimo che ricevette quando era privo di sensi, ma il coetaneo sussulta e gli dice che, se vuole restare suo amico, non deve più parlargli così: Agostino rimane sorpreso della sua reazione, pur non intavolando una discussione per non compromettere la precaria salute dell’amico.

Ma, nonostante ciò, qualche giorno dopo viene riassalito dalle febbri e muore.

La prematura scomparsa dell’amico provoca in Agostino un dolore e una confusione così grandi che né la città paterna né i luoghi familiari riescono a colmarli: le cose conosciute, nell’attesa temporanea, rimandano alla presenza, ma con l’assenza definitiva della morte ricordano soltanto ciò che si è perso. E nemmeno le nuove conoscenze lo aiutano a superare la sofferenza, dal momento che l’abbandono dell’esclusività del rapporto non implica il trovare una soluzione per la perdita subita.

Questa smisurata sofferenza sarebbe derivata, secondo Agostino, dal suo essere

incapace di amare gli uomini umanamente.

Perciò fugge via da Tagaste, in cui tutto gli ricordava l’amico defunto, e va a Cartagine.

In seguito il teologo affermerà che solo fondando la natura dei rapporti umani, e dunque caduchi, in Dio sarà possibile superare la precarietà insista nell’esistenza: il dolore è onnipresente nell’amicizia che non ha il suo fondamento in Dio.

Battesimo di Gesù, mosaico, V sec. d.C., Basilica di San Vitale, Ravenna

NOTE AL TESTO

[1] Spesso la madre Monica piange per la deviazione religiosa di suo figlio.

[2] Il battesimo veniva ritardato sovente nei tempi antichi, ma era somministrato quando si era in pericolo di morte.

[3] Il dio manicheo è una costruzione immaginaria e non spirituale nel senso tecnico del termine: è di materia celeste, quindi un minimo materiale lo è.

[4] Agostino avverte che il pianto tutt’al più consola il dolore.

[5] L’uomo è infelice non solo perché perde la persona che ama, ma anche perché ogni essere e cosa terrena, in quanto tale, è destinata a essere perduta; e la perdita contingente ce ne fornisce la piena consapevolezza.

[6] Luogo comune nelle trattazioni antiche dell’amicizia: Oreste era il figlio di Agamennone e Pilade era suo cugino e fedelissimo amico. Qui la fonte sembra essere il Laelius de amicitia o/e il De finibus bonorum et malorum di Cicerone.

[7] Qui Agostino si riferisce al poeta Orazio che, nelle Odi I, 3, definisce Virgilio come animae dimidium meae (metà dell’anima mia). 

[8] Né i sensi né l’intelletto riescono a colmare questo dolore.

[9] Motivo, quello della fuga da se stessi, che ritroviamo in grandi autori latini come Orazio, Seneca e Lucano.

[10] La fuga dalla città natale è una fuga dalle emozioni e dai sentimenti che lì vi sono maturati. Agostino si trasferisce a Cartagine nell’autunno del 376 per passare agli insegnamenti superiori.

[11] Sono tre gli oggetti dell’amore: Dio, l’amicizia (l’amico) e la carità (il nemico). Dio però ha un rilievo particolare perché entra come riferimento anche nell’amore per gli altri due e li sottrae alla caducità.

PER APPROFONDIRE 

  • Agostino, Confessioni, a cura di Roberta De Monticelli, Milano 1991
  • Agostino, Confessioni/ Volume II/ LIBRI IV-VI, a cura di Patrice Cambronne, Luigi F. Pizzolato e Paolo Siniscalco e traduzione di Gioachino Chiarini, Fondazione Lorenzo Valla 1993
  • Conte G.B., Letteratura latina/ L’età imperiale, Milano 2012
  • Simonetti M. e Prinzivalli E., Storia della letteratura cristiana antica, Bologna 2010


*L’immagine in copertina è Visione di sant’Agostino, di Vittore Carpaccio, 1552, tempera su tela, credit

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