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Quando le donne governano, gli uomini tremano

VECCHI: E possiate andare al diavolo! Quanto è mai lusingatore
questo sesso! dice proprio bene veh, quella sentenza:
né con questa infame razza si può vivere, né senza.

– Aristofane, Lisistrata

Dall’Atene di V sec. ad oggi: la paura è la stessa

Anche quest’anno, alla vigilia dell’elezione del Presidente della Repubblica Italiana, qualche politico ha provato ad ipotizzare la candidatura di una donna per il Colle più alto. Si parlava di personalità di rilievo, ministre ed ex-ministre, alte cariche dello Stato e almeno in due momenti gli italiani e le italiane sembrano averci creduto. Come poi sia andata a finire questa storia lo sappiamo tutti. Più interessante e accattivante cercare di capire, attraverso le pagine della letteratura, perché una donna al potere sia ancora considerato qualcosa di strano in molti paesi del mondo, anche nei più sviluppati. Le donne al governo sono considerate pericolose per una classe politica in maggior parte maschile?

Aspasia

Torniamo molto indietro nel tempo. Nell’Atene del V sec. a.C. le donne, come è noto, non partecipavano ufficialmente ad alcuna attività politica, ma iniziavano a svilupparsi tensioni notevoli e ad emergere grandi personalità femminili, che reclamavano di poter avere una certa influenza sugli affari pubblici. Tra queste è necessario ricordare fin da subito Aspasia, l’amante straniera e consigliera fidata di Pericle che sicuramente ebbe un’importanza decisiva nelle delicate mosse tattiche ateniesi degli anni ’30 del V sec. a.C.
Su questa grandiosa figura femminile molto è stato detto e scritto fin dall’antichità: i suoi contemporanei la bollavano semplicemente come una sorta di “gran prostituta” di Pericle, a capo del suo circolo di amanti, ma il fatto che essa fu tra i primi personaggi vicini allo stratega ateniese ad essere processata, insieme ad altre personalità di rilievo come l’architetto Fidia e il filosofo Anassagora, dimostra che un certo timore nei suoi confronti doveva sussistere tra i membri della classe dirigente ateniese, in particolare tra gli esponenti del partito contrario a Pericle. Essi non potevano certo ammettere di temere una donna, ma i fatti e le fonti dimostrano il contrario.

La donna ateniese e la donna spartana

La Guerra del Peloponneso combattuta tra Sparta e Atene (431-404) fu anche uno scontro ideologico tra due modi di vivere differenti. Diverso era anche il modo di trattare le donne: a Sparta erano escluse dalla vita politica, ma avevano comunque la possibilità di uscire di casa per allenarsi in palestra e partecipare, almeno in parte alla vita sociale della comunità. Le donne spartane che in vita si erano dimostrate valorose, poi, erano tenute in grande considerazione e onorate dalla comunità intera. Si pensi al fatto che Licurgo, il mitico re fondatore di Sparta, quando regolamentò le forme del lutto per evitare disordini eccessivi nelle città alla morte di personaggi particolarmente amati, proibì i lamenti pubblici e stabilì che fossero incisi sulle tombe soltanto i nomi di quei personaggi che in qualche modo avessero dato la vita per lo stato, cioè gli uomini morti in guerra e le donne morte di parto. 

Ad Atene, invece, la donna era segregata nelle parti della casa a lei destinate e poteva uscire soltanto in occasioni rare e ben stabilite, come per assistere al funerale di un parente stretto. Il matrimonio era di fatto un contratto tra due parti maschili, il padre della donna e il futuro marito, e non c’era nessuna possibilità per le ragazze ateniesi né di scegliere uno sposo né tantomeno di rifiutare quello che era stato loro imposto dal padre. Le separazioni, poi, sempre legittime per gli uomini, potevano essere richieste dalle donne ma solo con l’appoggio di un parente stretto uomo (il padre, il fratello o lo zio) e comunque si trattava di una pratica rarissima, dal momento che la donna separata ad Atene era trattata alla stregua di una prostituta.
Secondo l’opinione pubblica, inoltre, le donne erano causa di ogni sciagura che si abbatteva sulla città: Erodoto collocava all’inizio delle tensioni tra Greci e Barbari proprio una serie di rapimenti reciproci di donne, Aristofane accusava Pericle di aver dato avvio alla Guerra del Peloponneso con il rapimento di prostitute. Le donne erano il capro espiatorio perfetto per giustificare guerre provocate dagli uomini per gli interessi degli uomini. Le loro condizioni erano ancora peggiorate quando Pericle, con una legge del 451/0, aveva stabilito che fossero riconosciuti come cittadini ateniesi solo i figli di un cittadino ateniese e di una donna figlia di un cittadino ateniese. Molti uomini avevano dunque ripudiato le proprie spose e avevano contratto seconde o terze nozze per dare alla città figli legittimi.

La crisi della casa

Le fonti testimoniano indirettamente la tensione che doveva esserci in questo periodo ad Atene relativamente a quelle che anacronisticamente potremmo definire “questioni di genere”. Le vecchie strutture sociali, prima tra tutte la famiglia, erano messe in discussione. E mentre Pericle pronunciava il suo solenne epitaffio, celebrando la grandiosità delle tradizioni ateniesi e la moralità delle sue donne disposte a vivere nella vedovanza senza risposarsi (Tuc. II, 45), componendo di fatto una lode per un qualcosa che ormai non esisteva più, le case dei cittadini ateniesi dovevano essere smosse da tensioni, che vengono ben testimoniate, per esempio, da alcune tragedie euripidee, come la Medea e l’Ippolito, che affrontano proprio il tema della crisi dell’oikos, della casa, della famiglia ateniese. 

Non esisteva più quella perfetta armonia celebrate da Pericle, se anche la base della società, la famiglia, era scossa al suo interno da turbamenti e tensioni. Non possiamo certamente ipotizzare che ci fosse il timore a quei tempi per una riscossa femminile e per una vera e propria rivoluzione guidata dalle donne (i tempi non erano certamente ancora maturi), ma sicuramente si era aperto un dibattito sulla condizione della donna ateniese e il genere della commedia, più di tutti gli altri, riesce a cogliere le tensioni di questi tempi e nel suo tentativo di mostrare ai cittadini un mondo alla rovescia, porta gli spettatori ateniesi a teatro a domandarsi: “Che cosa succederebbe se le donne prendessero il potere?”.

Aubrey Beardsley, L'esame dell'araldo – "La Lisistrata di Aristofane", 1926, collotipia

Lisistrata

Aristofane, con l’ironia che lo contraddistingue, prova a dare una risposta a questa fantomatica domanda in una delle sue commedie più note, la Lisistrata, rappresentata alle Lenee del 411, quando la grandiosa spedizione contro Siracusa promossa da Atene era ormai fallita e la città stava per perdere definitivamente la guerra. 

La commedia parte appunto dalla contemporaneità e presenta un ipotetico scenario in cui le donne, capitanate da Lisistrata, per far cessare la guerra tra Sparta e Atene, decidono di astenersi dai rapporti sessuali con i mariti fino a che questi non avranno posto fine al conflitto, e di occupare l’Acropoli, dove era collocato il Tesoro di Atene, per impedire i rifornimenti. 

Alcune donne cedono al desiderio e abbandonano i propri propositi, ma la maggior parte resistono. Alla fine, con la mediazione di Lisistrata, la pace viene conclusa e la commedia si risolve in un allegro tripudio di danze e canti. La commedia è stata interpretata come un possibile preannuncio del colpo di stato oligarchico che proprio nel 411 si verifica ad Atene e porta alla nascita del governo dei Quattrocento. Non possiamo stabilire tuttavia se Aristofane fosse a conoscenza di questo progetto e usi la commedia per promuoverlo o se più semplicemente miri a dipingere un mondo alla rovescia in cui le donne prendono il potere sugli uomini. Quello che occorre sottolineare è che si tratta, ovviamente, di una commedia, che quindi descrive la guerra dei sessi come espediente comico e anzi, la presa del potere da parte delle donne, doveva essere interpretata ad Atene come un vero e proprio atto di hybris, un rovesciamento dell’ordine stabilito dalla divinità. 

Se cediamo, se gli diamo il minimo appiglio, non ci sarà più un mestiere che queste, con la loro ostinazione, non riusciranno a fare. Costruiranno navi, vorranno combattere per mare […]. Se poi si mettono a cavalcare, è la fine dei cavalieri.

– Aristofane, Lisistrata, vv. 671-676

Tuttavia bisogna anche notare che il colpo di stato guidato da Lisistrata ha successo proprio lì dove gli uomini hanno fallito: le donne vincono e riescono a stipulare in breve tempo la pace con Sparta. E se dunque anche questa commedia fosse espressione di quella paura nascosta negli uomini di essere governati dalle donne, capaci forse di risolvere questioni spinose meglio degli uomini? E se ancora oggi la nostra società non si fosse liberata di questa paura?

Questa ipotesi potrebbe essere confermata da un’altra commedia, in cui Aristofane torna sul tema. Donne al parlamento fu rappresentata alle Lenee del 411 e descrive nuovamente una rivolta delle donne ateniesi, questa volta guidate da Prassagora, le quali, travestite da uomini, in assemblea approvano una legge che sancisce l’abolizione della proprietà privata e conferisce alle donne il potere di decidere sulle questioni riguardanti il sesso

La seconda parte della commedia mostra le difficoltà di applicazione del nuovo ordinamento, ma il finale è comunque felice. Il pubblico è cambiato: Atene ormai ha perduto la guerra ed è divenuto un centro minore e Aristofane, nel presentare nuovamente un mondo alla rovescia, adotta una prospettiva più ampia di quella presentata nella Lisistrata. In questo caso il colpo di stato non ha come solo obiettivo la fine della guerra, ma la vera e propria instaurazione di un ordine nuovo, con una nuova concezione della figura femminile, di cui si riconoscono, seppure sotto il velo dell’ironia, le capacità nella guida dello stato. Anche la nostra società troverà finalmente una Lisistrata o una Prassagora capace di guidare la riscossa delle donne e l’insediamento nei luoghi più di rilievo dello stato. Per ora, occasione fallita.

*L’immagine in copertina è Socrate con Aspasia, di Honoré Daumier, 1842, litografia, credit

Lisistrata di Aristofane

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Le donne al parlamento di Aristofane

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