
“La Fuga” di Bulgakov e gli orrori di una guerra
1928. La pièce La Fuga (Бег – Beg, alla lettera “La Corsa”) di Michail Afanas’evič Bulgakov viene messa al bando in Unione Sovietica.
Seppur considerata tra le opere minori di Bulgakov, conosciuto soprattutto per i suoi romanzi Il Maestro e Margherita e Cuore di cane, questo testo teatrale rappresenta più di ogni altra opera del maestro l’eredità del suo pensiero politico: le idee di un uomo innanzitutto fortemente contrario alla guerra.
La vita
Le idee di Bulgakov sono attribuibili al suo vissuto personale.
Nato a Kiev nel 1891, egli stesso racconta di aver assistito ad «almeno quattordici sovvertimenti politici», di cui dieci in prima persona, tra il 1918 e il 1919, anni di fuoco della guerra civile russa.
Il termine “guerra civile“, in questo caso, è più appropriato rispetto allo studiatissimo nome di “rivoluzione russa”: un po’ perché Bulgakov si riferiva alla guerra tra bolscevichi e menscevichi, tra Armata Rossa e Armata Bianca, scoppiata tra i diversi partiti rivoluzionari a seguito della vera e propria rivoluzione, ma soprattutto perché è l’autore stesso a definire in questo modo il conflitto, deplorandone la violenza e forse anche fiutando i risvolti futuri che prenderà la rivoluzione, che negli anni a venire diverrà sempre più di facciata per un potere totalitario piuttosto che una lotta ideologica di stampo marxiano.
L’opera
Certo è che il pensiero di Bulgakov che emerge da La Fuga riguardo a questa guerra è cristallino: una condanna totale del conflitto, la cui responsabilità viene attribuita a tutte le parti in causa, all’Armata Rossa come all’Armata Bianca, e financo ai civili. Evidentemente, per i censori della Mosca sovietica, quest’opera non poteva che essere inammissibile, inaudito mettere sullo stesso piano la gloriosa Armata del generale Trockij e l’esercito dei padroni, sconfitto dal valore proletario (questo era il tono della narrazione dell’epoca riguardo alla guerra civile).
Il crimine di Bulgakov è stato quello di scrivere dei Bianchi come se fossero degli esseri umani, mentre i Rossi sono soltanto un lontano uragano che, da fuori dalla scena, fa tremare tutto.
Vedove, liberali e preti si incontrano e si scontrano con i militari in un mondo fatto di monasteri fortificati e di stazioni dei treni da cui penzolano corpi impiccati.
C’è chi ha definito questa pièce «una commedia eccellente», chi invece l’ha etichettata come «grottesca» o addirittura «elegiaca», ma è inutile cercare di incasellare un testo che deliberatamente trascende le categorie del dramma. Una società in frantumi è riflessa in uno specchio rotto.
Chierici satirizzati e poveri disperati, amanti ideali, opportunisti e la figura dostoevskiana del terrorista pentito Khludov rappresentano la varietà dei personaggi, tenuti insieme da una struttura magistrale che consente alle loro strade di incrociarsi.
Lo spettacolo è pervaso da echi biblici, altro elemento degno di censura in Unione Sovietica, e dalla visione della vita come un qualcosa dipendente solo dalla fortuna e dal caso.
A causa della censura, La Fuga, le cui prove erano già cominciate in un teatro di Odessa, dovette aspettare 29 anni per la sua prima rappresentazione sovietica, nel 1957, a diciassette anni dalla morte dello stesso Bulgakov.
Ma questo spettacolo non smetterà mai di essere attuale. Da qualche parte nel mondo ci saranno sempre una o più nazioni che cercano di distruggersi a vicenda mettendo i propri cittadini in fuga. Nel ’28 erano i Cosacchi, oggi sono gli Ucraini e i Russi che provano a fuggire verso l’Europa, sempre a causa di una guerra voluta solo dal potere, o da chi brama di ottenerlo. E Bulgakov lo sapeva molto bene, La Fuga è una descrizione capolavoro di un popolo devastato dalla guerra, che scappa dalle proprie case senza sapere a cosa va in contro.
*L’immagine in evidenza è Il tre di maggio, di Francisco dee Goya, 1814, credit: museo del Prado, Madrid


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