
Esiodo: coinventore degli dei
Prima infatti le stirpi degli uomini abitavano la terra
del tutto al riparo dal dolore, lontano dalla dura fatica,
lontano dalle crudeli malattie che recano all’uomo la morte;
[rapidamente nel dolore gli uomini avvizziscono.]
Ma la donna di sua mano sollevò il grande coperchio dell’orcio
e tutto disperse, procurando agli uomini sciagure luttuose.
Sola lì rimase la Speranza nella casa infrangibile,
dentro, al di sotto del bordo dell’orcio, né se ne volò
fuori; ché Pandora prima ricoprì la giara,
per volere dell’egioco Zeus, adunatore di nubi.
E altri mali, infiniti, vanno errando fra gli uomini.– Esiodo, Le Opere e i Giorni, 90-100.
La vita
Omero ed Esiodo sono due personalità monumentali per la poesia greca antica: sicuramente, come afferma Erodoto nelle sue Storie (2, 53), i due poeti hanno creato gli dèi (e i valori, aggiungerei) della Grecia, imponendosi così come i pilastri della tradizione poetica e, di conseguenza, della cultura greca antica. Tuttavia notevoli sono le differenze fra i due: se la figura di Omero resta storicamente dibattuta, della biografia di Esiodo abbiamo notizie. Esiodo, infatti, è il primo autore della letteratura greca che parli di sé stesso in prima persona e che fornisca notizie sulla propria vita nel suo componimento Le opere e i giorni.
Suo padre proveniva da Cuma di Eolide, città dell’Asia Minore colonizzata appunto dagli Eoli, e lì commerciò fino a quando, a causa del dissesto economico, non fu costretto a trasferirsi a Ascra, Beozia, regione della Grecia centrale a nord dell’Attica. Ed è proprio in questa cittadina agreste e ricca di ancestrali tradizioni che crebbe Esiodo, tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del VII secolo a.C.

In gioventù visse da pastore sui monti e più tardi coltivò il terreno ereditato dal padre. Faticosa e dura è, però, la vita del contadino: come il poeta stesso asserisce nella sua opera Le Opere e i Giorni (compralo qui), il terreno dava così poco che raccomandava di avere un solo figlio (376) e che Ascra è cattiva d’inverno, insopportabile d’estate e mai buona (640).
Nel proemio della sua Teogonia (vv. 1-52), Esiodo stesso racconta come sia avvenuta sua investitura poetica: mentre pascolava le greggi sul monte Elicona, gli si avvicinarono le Muse – apostrofando i pastori come creature ignoranti, nient’altro che ventre -, gli diedero in mano un ramo d’alloro e lo ispirarono, facendogli prendere coscienza del suo compito: quello di cantare ciò che sarà e ciò che è. Sulla natura della visione di Esiodo sul monte Elicona si è molto dibattuto: è stato proposto che non sia una semplice metafora letteraria, ma una vera e propria esperienza allucinatoria (frequentemente testimoniate nei rituali iniziatici).
Dopo essere diventato così un rapsodo (ossia un recitatore di canti) professionista, il poeta racconta ne Le Opere e i Giorni (654) di avere vinto un tripode [1] negli agoni poetici istituiti per i riti funebri in onore del principe Anfidamante, a Calcide – città situata nell’isola di Eubea, regione greca a est dell’Attica e della Beozia – e di averlo dedicato alle Muse dell’Elicona. Proprio in questa occasione si sarebbe svolta la leggendaria gara poetica fra Omero e Esiodo, il cosiddetto Certamen Homeri atque Hesiodi: inizialmente si articola come un gioco di domande e risposte fra i due, poi ognuno dei due recita il passo più bello delle proprie opere, e il pubblico favorisce i versi bellicosi dell’Iliade. Ma Panedes, il quale come fratello del defunto Anfidamante dirige il confronto, assegna il premio ai versi esiodei, che trattano della pacifica agricoltura [2]. Questo episodio è importante anche perché ci permette di inquadrare la cronologia di Esiodo: infatti questi riti funebri furono svolti durante la guerra cosiddetta lelantina tra le due città euboiche di Eretria e Calcide, databile attorno al 720 a.C. Ciò ci consente di stabilire che Esiodo visse a cavallo tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C.
Sebbene fosse ormai un rapsodo, non si deve credere che avesse abbandonato il suo lavoro di contadino e si fosse allontanato tanto dalla Beozia: la traversata dell’ampio Euripo [3] in occasione dei giochi funebri di Anfidamante fu il suo unico viaggio per nave, dal momento che non amava il mare (come tutti i Greci dell’età arcaica, visto che era molto pericoloso navigare). Malgrado la sua stanzialità, Esiodo apparteneva alla loro cerchia dei cantori e perciò le sue opere furono tramandate.
Altro importante episodio della sua vita fu la lite per l’eredità che ebbe con il fratello Perse dopo la morte del padre: l’iniquo comportamento del fratello e la sentenza ingiusta dei giudici in merito alla spartizione dei beni gli diedero l’ispirazione per comporre il suo secondo lavoro: Le Opere e I Giorni.
Notizie leggendarie abbiamo sulla morte di Esiodo – è un uso comune nella biografia antica l’invenzione di aneddoti per la morte di uomini famosi: lo storico ateniese Tucidide (III, 96) racconta che sarebbe morto in un santuario di Zeus nella regione della Locride, in altre fonti il poeta sarebbe stato assassinato per aver sedotto una fanciulla e il suo corpo sarebbe stato gettato in mare.
La Teogonia
Ci sono giunti per intero due poemi, la Teogonia e Le opere e i giorni, e numerosi frammenti di opere perdute, come ad esempio il Catalogo delle Donne, la cui attribuzione a Esiodo però è ancora discussa.
La Teogonia è un poema composta da 1.022 esametri che racconta della nascita del cosmo (cosmogonia), degli dei (teogonia) e della storia dell’umanità (antropogonia), ordinando gli innumerabili racconti mitologici greci. Si apre con un lungo proemio in cui Esiodo, come abbiamo già detto, racconta la sua investitura poetica da parte delle Muse sul monte Elicona; poi inizia a narrare l’origine del mondo dal Caos e le varie generazioni divine fino alla definitiva affermazione di Zeus e degli dèi dell’Olimpo.
La prima coppia regnante, originata dal Caos primordiale, è quella composta da Gea, la terra, e Urano, il cielo (nato da Gea attraverso partenogenesi, ossia che partorisce senza essere stata fecondata), dalla cui unione nascono i Titani, i Ciclopi e i Centimani (esseri mostruosi con cento mani e cinquanta testa ciascuno). Urano odia a tal punto i suoi figli che li ricaccia dentro il ventre della madre, perciò Gea decide di incitare la sua prole a ribellarsi al padre: Crono è l’unico che insorge ed evira Urano, dal cui sangue nascono le Ninfe, i Giganti e le Erinni e dalla spuma del mare dove cadono i suoi genitali Afrodite.
Crono sposa la sorella Rea e genera con lei gli dei olimpici, fra i quali Zeus. Crono, sapendo che uno dei figli lo avrebbe detronizzato, decide di ingoiarli tutti appena nascono; Rea, allora, si reca a Creta per partorire di nascosto suo figlio Zeus e inganna il marito, facendogli mangiare una pietra avvolta in fasce come se fosse il loro bimbo appena nato. Zeus, una volta adulto, spodesta il padre e impone il proprio dominio.
La Teogonia continua poi il mito di Prometeo, il Titano che donò il fuoco agli uomini, dopo averlo sottratto agli dei: Zeus punisce sia lui, incatenandolo a una colonna e facendogli divorare ogni giorno da un’aquila il fegato (che ricresceva sempre) sia gli uomini, inviando loro Pandora, la prima donna, portatrice di mali.
Il poema si conclude con quella che viene chiamata Titanomachia, ossia la guerra fra le divinità olimpiche capeggiate da Zeus e i Titani, figli di Gea e Urano, i quali vogliono prendere il potere e riportare l’universo al suo passato ferino, ma Zeus li ricaccia nel Tartaro e instaura un ordine giusto e immutabile. Gli ultimi versi (di autenticità dubbia) della Teogonia riportano una nuova invocazione alle Muse e elencano le unioni di Zeus con donne umane e divine.

TEOGONIA 453-506
In principio c’è il Caos (Χάος, termine greco che rimanda all’idea di “vuoto”), che probabilmente si può interpretare come un grande vuoto originario, da cui nascono le prime tre divinità: Gaia, Tartaro e Eros.
Gaia, attraverso partenogenesi, genera Urano, col quale poi si unirà avendo molti figli, i quali si possono suddividere in tre gruppi: i Titani (Oceano, Coios, Creos, lperione, Giapeto, Tea, Rea, Temis, Mnemosine, Febe, Teti e Crono), i Ciclopi (Bronte, Sterope e Arge) e i Centimani (Cotto, Briareo e Gige). Queste divinità nate nella prima parte del poema, come Urano (cielo), Gaia (terra), Oceano, Iperione (sole) sono anche elementi naturali, il cui avvento segna l’origine del mondo (per questo, come abbiamo detto sopra, parliamo anche di cosmogonia) [4].
Urano, dal momento che detesta la sua prole, li ricaccia nel ventre di Gaia, ma lei furiosa, fabbricata una falce, esorta i figli a punire il padre e solo Crono acconsente: quando Urano desideroso si distende su Gaia per unirsi a lei, lo evira con la falce e ne getta i genitali in mare (da dove nascerà Afrodite). Dal sangue di Urano caduto su Gaia, invece, saranno generate le Erinni, i Giganti e le Ninfe Melie. La castrazione di Urano, oltre che sancire il potere regale del figlio Crono, rende possibile la vita di uomini e animali, dal momento che non potrà più unirsi a Gaia [5].
Dopo questi primi avvenimenti, c’è il passo che tratteremo, ossia la nascita di Zeus e la detronizzazione di Crono (vv. 453-506).
Avendo saputo dai suoi genitori che verrà spodestato da uno dei suoi figli, Crono, come il padre Urano, impedisce ai figli di crescere, ingoiandoli appena vengono alla luce. Spetta a Zeus, l’ultimogenito (proprio come Crono) salvare i suoi fratelli e instaurare un nuovo ordine permanente fondato sulla giustizia. Interessante notare che il topos (tema) dell’ultimogenitura è diffuso nelle tradizioni popolari (pensiamo alle fiabe in cui l’ultimo nato deve compiere un’impresa negata ai fratelli più grandi).
Crono viene presentato come un divoratore, come un padre geloso del suo potere che viola le leggi della natura, impedendo ai figli di crescere e di portare nel mondo nuovo vigore ed energia; Rea, al contrario, grazie anche all’aiuto della madre Gaia, è una divinità astuta, che riesce a nascondere a far crescere suo figlio lontano dai sospetti del padre. Zeus, infatti, secondo la tradizione, crescerà in una grotta cretese, nutrito dal latte della capra Amaltea (in altre versione è il nome di una ninfa che si prende cura di Zeus bambino e lo fa allattare da una capra) e protetto da dei danzatori armati, detti Coribanti, i quali, battendo le spade contro gli scudi, impediscano che le urla del bambino siano udite dal padre Crono. Gli antichi [6] identificano la caverna in cui è nato Zeus con l’Antro Ideo, situato nella zona centrale di Creta, e che diviene appunto un luogo cultuale dedicato al padre degli dei e degli uomini.
Rea poi, unitasi a Crono, partorì illustri figli:
Istie [7], Demetra e Era [8] dagli aurei calzari,
e il forte Ade che sotto terra ha la sua dimora,
spietato nel cuore, e il forte tonante Ennosigeo [9],
e Zeus prudente, degli dei padre e degli uomini;
sotto il tuono trema l’ampia terra.
ma questi divorava il grande Crono, appena ciascuno
dal ventre della sacra madre ai suoi ginocchi arrivava,
e ciò escogitava perché nessuno degli illustri figli di Urano
fra gli immortali avesse il potere regale.
Infatti aveva saputo da Gaia e Urano stellato
che per lui era destino di l’essere vinto da un figlio,
per forte che fosse, per il volere di Zeus grande [10];
a ciò non inutile guardia faceva, ma sempre in sospetto
i suoi figli divorava, e un dolore crudele teneva Rea.
E quando Zeus, padre degli dei e degli uomini, prossima fu
a partorire, allora pregò i genitori
suoi, Gaia e Urano stellato,
di darle consiglio perché potesse nascondere il suo parto,
il figlio suo caro, ed egli placasse le Erinni del padre di quello
e dei figli che divorava il grande Crono dai torti pensieri.
Costoro la figlia ascoltarono e i suoi voti esaudirono,
e a lei rivelarono quanto dal fato era fissato avvenisse
riguardo a Crono sovrano e al figlio dal forte cuore.
E la mandarono a Licto [11], nel pingue paese di Creta,
affinché il suo ultimo figlio potesse partorire,
Zeus grande; lui accolse Gaia prodigiosa
nell’ampia Creta, da nutrire ed educare.
Lui dunque portando essa giunse veloce nella nera notte
dapprima a Licto, e lo nascose, prendendolo con le sue mani,
in un antro scosceso, sotto il recessi della terra divina,
nel monte Egeo, coperto di folta foresta.
A quello poi, avvolta in fasce, una grande pietra essa dette
al figlio d’Urano grande signore, primo re degli dei;
egli la prese con le sue mani e giù la inghiottì nel suo ventre,
sciagurato, e non pensava nel cuore che,
al posto del sasso, suo figlio invitto e indenne
gli era rimasto, e che quello presto lo avrebbe vinto per forza di braccia
cacciato dal trono e fra gli immortali avrebbe regnato.
Presto la forza e le membra gloriose
di tale signore crebbero [12] e volgendosi gli anni,
ingannato per gli accorti consigli di Gaia,
il grande Crono dai torti pensieri risputò i suoi figlioli
vinto dalle arti e dalla forza del figlio.
Per prima vomitò la pietra che ultima aveva mangiato,
e che Zeus fissò sulla terra dagli ampi cammini,
in Pito divina [13], sotto i gioghi del Parnaso,
che un segno fosse in futuro, meraviglia per i mortali [14].
Poi sciolse i fratelli del padre dai lacci funesti,
la stirpe di Urano [15] che il padre nella sua follia incatenò;
ed essi furono memori a lui di gratitudine per i suoi benefici;
gli diedero il tuono e il fulmine fiammeggiante
e il baleno che prima Gaia prodigiosa teneva nascosti;
fidando in questi comanda ai mortali e agli immortali.
Ῥείη δὲ δμηθεῖσα Κρόνῳ τέκε φαίδιμα τέκνα,
Ἱστίην Δήμητρα καὶ Ἥρην χρυσοπέδιλον,
ἴφθιμόν τ’ Ἀίδην, ὃς ὑπὸ χθονὶ δώματα ναίει
νηλεὲς ἦτορ ἔχων, καὶ ἐρίκτυπον Ἐννοσίγαιον,
Ζῆνά τε μητιόεντα, θεῶν πατέρ’ ἠδὲ καὶ ἀνδρῶν,
τοῦ καὶ ὑπὸ βροντῆς πελεμίζεται εὐρεῖα χθών.
καὶ τοὺς μὲν κατέπινε μέγας Κρόνος, ὥς τις ἕκαστος
νηδύος ἐξ ἱερῆς μητρὸς πρὸς γούναθ’ ἵκοιτο,
τὰ φρονέων, ἵνα μή τις ἀγαυῶν Οὐρανιώνων
ἄλλος ἐν ἀθανάτοισιν ἔχοι βασιληίδα τιμήν.
πεύθετο γὰρ Γαίης τε καὶ Οὐρανοῦ ἀστερόεντος
οὕνεκά οἱ πέπρωτο ἑῷ ὑπὸ παιδὶ δαμῆναι,
καὶ κρατερῷ περ ἐόντι, Διὸς μεγάλου διὰ βουλάς.
τῷ ὅ γ’ ἄρ’ οὐκ ἀλαοσκοπιὴν ἔχεν, ἀλλὰ δοκεύων
παῖδας ἑοὺς κατέπινε· Ῥέην δ’ ἔχε πένθος ἄλαστον.
ἀλλ’ ὅτε δὴ Δί’ ἔμελλε θεῶν πατέρ’ ἠδὲ καὶ ἀνδρῶν
τέξεσθαι, τότ’ ἔπειτα φίλους λιτάνευε τοκῆας
τοὺς αὐτῆς, Γαῖάν τε καὶ Οὐρανὸν ἀστερόεντα,
μῆτιν συμφράσσασθαι, ὅπως λελάθοιτο τεκοῦσα
παῖδα φίλον, τείσαιτο δ’ ἐρινῦς πατρὸς ἑοῖο
παίδων ‹θ’› οὓς κατέπινε μέγας Κρόνος ἀγκυλομήτης.
οἱ δὲ θυγατρὶ φίλῃ μάλα μὲν κλύον ἠδ’ ἐπίθοντο,
καί οἱ πεφραδέτην, ὅσα περ πέπρωτο γενέσθαι
ἀμφὶ Κρόνῳ βασιλῆι καὶ υἱέι καρτεροθύμῳ·
πέμψαν δ’ ἐς Λύκτον, Κρήτης ἐς πίονα δῆμον,
ὁππότ’ ἄρ’ ὁπλότατον παίδων ἤμελλε τεκέσθαι,
Ζῆνα μέγαν· τὸν μέν οἱ ἐδέξατο Γαῖα πελώρη
Κρήτῃ ἐν εὐρείῃ τρεφέμεν ἀτιταλλέμεναί τε.
ἔνθά μιν ἷκτο φέρουσα θοὴν διὰ νύκτα μέλαιναν,
πρώτην ἐς Λύκτον· κρύψεν δέ ἑ χερσὶ λαβοῦσα
ἄντρῳ ἐν ἠλιβάτῳ, ζαθέης ὑπὸ κεύθεσι γαίης,
Αἰγαίῳ ἐν ὄρει πεπυκασμένῳ ὑλήεντι.
τῷ δὲ σπαργανίσασα μέγαν λίθον ἐγγυάλιξεν
Οὐρανίδῃ μέγ’ ἄνακτι, θεῶν προτέρων βασιλῆι.
τὸν τόθ’ ἑλὼν χείρεσσιν ἑὴν ἐσκάτθετο νηδύν,
σχέτλιος, οὐδ’ ἐνόησε μετὰ φρεσίν, ὥς οἱ ὀπίσσω
ἀντὶ λίθου ἑὸς υἱὸς ἀνίκητος καὶ ἀκηδὴς
λείπεθ’, ὅ μιν τάχ’ ἔμελλε βίῃ καὶ χερσὶ δαμάσσας
τιμῆς ἐξελάαν, ὁ δ’ ἐν ἀθανάτοισιν ἀνάξειν.
– καρπαλίμως δ’ ἄρ’ ἔπειτα μένος καὶ φαίδιμα γυῖα
ηὔξετο τοῖο ἄνακτος· ἐπιπλομένου δ’ ἐνιαυτοῦ,
Γαίης ἐννεσίῃσι πολυφραδέεσσι δολωθείς,
ὃν γόνον ἂψ ἀνέηκε μέγας Κρόνος ἀγκυλομήτης,
νικηθεὶς τέχνῃσι βίηφί τε παιδὸς ἑοῖο.
πρῶτον δ’ ἐξήμησε λίθον, πύματον καταπίνων·
τὸν μὲν Ζεὺς στήριξε κατὰ χθονὸς εὐρυοδείης
Πυθοῖ ἐν ἠγαθέῃ, γυάλοις ὕπο Παρνησσοῖο,
σῆμ’ ἔμεν ἐξοπίσω, θαῦμα θνητοῖσι βροτοῖσι.
– λῦσε δὲ πατροκασιγνήτους ὀλοῶν ὑπὸ δεσμῶν,
Οὐρανίδας, οὓς δῆσε πατὴρ ἀεσιφροσύνῃσιν·
οἵ οἱ ἀπεμνήσαντο χάριν εὐεργεσιάων,
δῶκαν δὲ βροντὴν ἠδ’ αἰθαλόεντα κεραυνὸν
καὶ στεροπήν· τὸ πρὶν δὲ πελώρη Γαῖα κεκεύθει·
τοῖς πίσυνος θνητοῖσι καὶ ἀθανάτοισιν ἀνάσσει.
NOTE
[1] Sorta di recipiente a tre piedi che si poneva sul fuoco per scaldare l’acqua, cuocere le carni sacrificali ecc. Era spesso offerto come dono agli dei, agli ospiti e agli atleti vittoriosi.
[2] Questo racconto leggendario ci è pervenuto in una versione tarda, ma risale al sofista Alcidamente (IV sec a.C.).
[3] Tratto di mar Egeo che in Grecia separa l’isola dell’Eubea dalla Beozia e dall’Attica.
[4] Esiodo presenta anche nuove divinità mostruose e astrazioni personificate, come ad esempio la Morte, la Discordia, il Sonno.
[5] Urano (il cielo) è solido, non aria, perciò la sua unione fisica con Gaia (la terra) non permette agli esseri viventi di esistere perché li schiaccerebbe.
[6] La più antica citazione è del lirico Pindaro, ma possediamo anche quelle di Euripide, Platone, Callimaco, Apollonio Rodio e molti altri.
[7] Altro nome di Estia, dea del focolare domestico.
[8] Sorella e poi moglie di Zeus.
[9] Epiteto di Poseidone, dio del mare, ma anche legato agli scuotimenti, oltre che marini, anche terreni (come i terremoti): il significato di questo epiteto è, infatti, “Scuotitore della terra”.
[10] Espressione anacronista, dal momento che Zeus non è ancora nato e non è al potere. È infatti una struttura formulare degli antichi greci che significa “secondo un piano imperscrutabile”.
[11] O Litto, era una delle sette città della Creta antica, nelle cui vicinanze esistevano delle grotte usate come luoghi di culto sin dalla civiltà minoica.
[12] Zeus cresce in modo rapidissimo, come anche ci riporta Callimaco nel suo Inno a Zeus.
[13] Altro nome di Delfi, città situata nella regione della Focide. Questo nome deriva da Pitone, spaventoso serpente che aveva la titolarità del culto delfico, prima che Apollo lo uccidesse e si insinuasse al suo posto.
[14] Questa pietra, considerata il centro del mondo dagli antichi greci, era venerata nel tempio di Apollo a Delfi. Pausania (X, 24, 6) ci racconta che nei giorni di festa veniva cosparsa d’olio e abbellita con della lana.
[15] Sarebbero i Ciclopi Bronte (il tonante), Sterope (il luminoso) e Arge (il lucente). Sono proprio loro che donano a Zeus le sue tradizionali armi e attributi, ossia il fulmine e il tuono, con i quali manterrà l’ordine nel suo regno.
Per approfondire
- Guidorizzi G., Letteratura greca. Da Omero al secolo VI d.C., Milano 2019
- Lesky A., Storia della letteratura greca. Vol. 1: Dagli inizi ad Erodoto, Milano 1962
- Montanari F. e Montana F., Storia della letteratura greca. Dalle origini all’età imperiale, Bari 2010

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