Aftalina,  Articolo

Teatralità diffusa: teatro senza un palco

Teatro? Quale teatro?

Un volume sul teatro nel Medioevo o rinuncia ad esistere o cambia lo statuto del proprio oggetto.

– Luigi Allegri, Teatro e spettacolo nel Medioevo

Cosa fa del teatro il teatro? Come ogni concetto a noi familiare è estremamente difficile definirlo, poiché nella nostra mente è assolutamente chiaro, talmente chiaro da essere inspiegabile.

Prima cosa che ci viene in mente: il teatro è un luogo, ben definito, dove della gente si reca appositamente per essere spettatrice di un qualcosa, mentre delle altre persone si impegnano a mostrare qualcosa. Insomma, ci deve essere qualcuno che guarda, non esiste teatro senza pubblico, benissimo, ma davvero ogni cosa che ci viene presentata come prodotto più o meno elaborato a cui assistere è teatro? Lo è ogni tipo di performance?

Nessuno di noi ha dubbi se definire o meno “teatro” la rappresentazione di un’opera di Shakespeare, di Euripide o Beckett. Potremmo anche facilmente concordare su definire tale uno spettacolo di strada, di ballerini, giocolieri. Ma quanti di noi chiamerebbero a cuor leggero teatro la Via Crucis che ogni anno si ripete nelle chiese di tutta Italia? Quanti la celebrazione di una messa?

Il grosso limite dell’uomo moderno quando si accosta allo studio del Medioevo è che utilizza categorie sue proprie, moderne appunto, per interpretare un periodo storico molto distante, come mentalità e prospettiva. In tutta sincerità credo che per noi sia molto più complesso capire il Medioevo che non l’Antichità, perché non c’è stato quel laborioso recupero che invece è avvenuto con quest’ultima, non c’è stato – se non in tempi recentissimi – il tentativo di rimediare al solco profondissimo di dimenticanza che abbiamo scavato tra noi e l’epoca favolosa dei castelli, dei cavalieri e dei monaci.

La frase posta a incipit del libro di Luigi Allegri, Teatro e spettacolo nel Medioevo, dà bene l’idea della difficoltà di parlare di teatro nel Medioevo. Infatti, in tutta sincerità il teatro come lo intendiamo noi cessa di esistere per tutto questo periodo.

Mors tua, vita mea: fine del teatro, nascita dello spettacolo

Tutti conoscono il grande momento aureo di nascita del teatro: l’antica Grecia. Con i tre grandi tragediografi si inaugura un periodo florido, di ricerca espressiva e di grande teatro. Durante prima la Repubblica e poi l’Impero Romano, tuttavia, questo inizia a prendere un percorso completamente diverso.

Se per i Greci il teatro era un momento di elevazione, di coesione con la comunità, con un significato simbolico molto forte, dove l’individuo smetteva di essere tale ed attraverso il pathos purificava sé stesso; per i Romani il teatro è panem et circenses. I Romani non hanno l’impianto filosofico per un’idea così sacrale del teatro, non ne fanno un rito, o meglio, ne fanno un rito completamente diverso, un rito sì purificatorio, ma alla stessa maniera in cui lo saranno le impiccagioni in pubblica piazza nella Francia Imperiale del XVII secolo. Metto in scena il volgare, la violenza, i peggiori sentimenti che animano l’uomo, offro un momento di liceità di tali emozioni, così che il popolo condensi in questi momenti circoscritti e codificati.

Non sorprende che filosofi pagani come Seneca e poi cristiani come Tertulliano o Lattanzio abbiano sempre remato contro il teatro, come luogo di perdizione, di dispiegamento del vizio e l’uomo veniva trascinato in un baratro di peccati inconfessabili. Un po’ cupo, ma serve molto meno a un moralista per sconvolgersi.

Insomma, va a finire che arrivano i barbari, fanno le loro scorrerie su e giù per l’Impero, distruggono ogni cosa, Imperatori più o meno qualificati fanno scelte più o meno sensate per salvare il salvabile e alla fine non si salva niente. Finisce l’Impero, iniziano i Regni barbarici, momenti bui per l’Europa, con grandi spargimenti di sangue, molte divisioni interne e guerre, in quel momento non sopravvive quasi nessun edificio che si possa chiamare teatro, nessuno più ne parla, sopravvive solo qualche sparuto attore solitario, dedito al mimo, performance di cui tutt’oggi sappiamo poco nulla.

Lo spettacolo in ogni dove, apologia delle feste

Ecco perché Allegri dice che non si può fare una storia del teatro nel Medioevo, quello che persiste in questo periodo non è propriamente teatro, codificato e pensato come tale, ma è una forma di spettacolarità diffusa, che penetra i luoghi più disparati, è in qualche modo la scintilla archetipica della teatralità, quell’esigenza antropologica fondamentale, che trova modo di emergere nonostante la si soffochi.

Non servono a nulla le imposizioni della Chiesa, a nulla il dileggio e la persecuzione degli attori come più bassa posizione sociale. Nonostante tutte queste resistenze il teatro emerge nelle situazioni, codificate e circoscritte, dove si lascia un po’ di respiro: le feste. Le festività sono generalmente associate a due tipi di occorrenze: o di tipo religioso, o legate ai cicli naturali.

Nel primo caso cominciano a emergere alcune Rappresentazioni Sacre, dapprima elementari, soprattutto legate al Natale: il prete impersona Gesù vicino all’altare, alcuni frati mettono una tunica per simboleggiare gli angeli e stanno muti a fianco a lui. Tuttavia, con l’andare degli anni queste Sacre Rappresentazioni diventano estremamente complesse: si aggiungono nuovi personaggi, viene migliorata la scenografia, con finte grotte e altarini, si prevedono spostamenti, prima lungo la navata della Chiesa, poi per il paese nella piazza.

Molte di queste rappresentazioni hanno un valore di esorcizzazione, servono all’uomo comune ad allontanare da lui tutto ciò che è spaventoso o incompreso. Allontano il pericolo della morte, per questo così spesso si rappresentano il diavolo e l’Inferno: nella stessa maniera in cui vedere un gladiatore sbranato dai leoni o un ladro impiccato in pubblica piazza ti può far dormire meglio la notte. Detto in termini psicanalitici lo spettacolo diventa amuleto, piccolo feticcio di dolore, che permette di alienarmi dalle mie paure, vedendole concretizzarsi in un altro lontano; la partecipazione attiva a questo rito, attraverso grida, canti o gesti, permette la definitiva catarsi.

Chi di voi ha letto I pilastri della terra di Ken Follett ricorderà la scena in cui il priore Philip, guida intransigente e severa, è molto contrariato dai piccoli giochini che si svolgono tra i contadini e popolani durante una festività religiosa. Eppure non impedisce che avvengano, benché capisca la chiara ascendenza pagana di questi, perché si rende conto che sono necessari alla mente degli uomini, piccolo svago e respiro dalla grande fatica che è la vita secondo la concezione cristiana.

Interessante a questo proposito il Jeau d’Adam, uno dei primi veri e propri spettacoli pensati teatralmente, con uno scrittore, anonimo, che compone un’idea di rappresentazione, per un pubblico determinato. Probabilmente rappresentato a metà XII sec., in francese occidentale, è composto da circa 4 capitoli, che iniziano con la cacciata dei progenitori e finisce ciclicamente con il Giudizio Universale. In mezzo a queste due scene c’è spazio per tutto un mondo immaginifico, con l’intento esatto di sbalordire il pubblico: viene messo in scena sia l’Inferno (con pentole che sbattono, fumi di zolfo e diavoli muti danzanti) sia il Paradiso, Dio stesso compare in scena e il Diavolo è uno dei grandi protagonisti, interagisce con Eva.

Gli esempi che si potrebbero fare sono innumerevoli, qui ho solo citato le Sacre Rappresentazioni, ma un ruolo centrale ce l’hanno anche le figure di attori vaganti, giullari e menestrelli, che portano il teatro letteralmente ovunque, oltre che giocolieri, ballerini, addomesticatori di animali, ovunque si trovano rappresentazioni di questi personaggi che popolavano ogni strada cittadina d’Europa nel Medioevo; e che nelle feste trovavano maggiore importanza, laddove l’uomo stanco di tutte le fatiche, aveva quell’attimo di riposo da riempire non solo con lo svago, ma con l’immensa cosa che può essere il simbolo.

*L’immagine in copertina è Scena dei cosiddetti dipinti ad arco, di Pieter Brueghel Il Vecchio, 1559.

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