
Coleman Silk, i classici e la scuola
Noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui.
Philip Roth, La macchia umana
Sono moltissimi gli argomenti interessanti toccati da Philip Roth nel suo romanzo La macchia umana (compralo qui), tutti molto attuali (il razzismo, il problema dei reduci di guerra negli States, la vecchiaia, la vendetta), ma come sempre qui ci concentreremo su uno soltanto. C’è un aspetto che mi davvero colpito, ed è la questione dell’istruzione così come viene presentato dall’anziano professor Coleman Silk.
Cominciando dal principio, La macchia umana viene pubblicato per la prima volta nel 2000, ed è un romanzo che ha come protagonista un professore universitario anziano, ormai in pensione, di grande successo, ebreo. Tuttavia, Coleman Silk, in realtà non è ebreo, ma nero. Il punto nodale della storia è proprio questo: Coleman appartiene a quel gruppo di persone di colore, che nascono con una pelle particolarmente chiara, tale da impedire l’immediato riconoscimento della loro etnia. È una possibilità non particolarmente rara, anzi piuttosto diffusa, con la differenza che Coleman, ragazzo molto dotato e promettente non solo a livello scolastico, forza la realtà per adattarla al suo desiderio. Non vuole limiti, né barriere davanti a sé, dunque elimina il suo passato e ne reinventa uno nuovo, concedendosi una nuova esistenza libera, da uomo bianco ebreo. Non saprà mai nessuno la verità, non sua moglie, né i suoi figli, amici o colleghi. Fino alla morte mantiene il suo segreto.
Tuttavia non è di questo che vorrei parlare, per quanto suggestivo sia l’argomento. Coleman è docente in un college americano, insegna greco, latino, materie classiche. Legge le tragedie di Sofocle ai suoi alunni, vorrebbe parlare dell’Odissea o dell’Iliade. E lo fa, splendidamente, per molto tempo, per tutta la sua carriera, ma verso la fine, ci sono segnali che i tempi stanno cambiando.
Il politically correct
L’argomento è molto controverso, per questo serviva un grande scrittore come Philip Roth per parlarne. Per certi versi è un problema prettamente americano, ma in realtà sta raggiungendo anche la vecchia Europa.
Lo segnalava anche un mio professore dell’università, Giorgio Ficara, docente anche alla Columbia University, che nelle biblioteche dei college statunitensi, prendendo in mano le Metamorfosi di Ovidio, oppure l’Iliade, si trovano in prima pagina dei disclaimer:
Attenzione: questo libro presenta contenuti razzisti/colonialisti/sessisti.
Anche Coleman Silk deve scendere a compromessi con questo problema, quando una sua studentessa di colore, si rifiuta di continuare il suo corso, lamentandosi presso la dirigente, perché si sente scarsamente rappresentata dalle opere trattate a lezione (tragedie sofoclee).
La domanda che sembra porre il romanzo è: è colpa di questa ragazza che pone certe questioni o è colpa della società che la legittima a porle?
I libri non sono esenti da critiche, ogni libro va valutato e anche criticato laddove necessario. Ma che vantaggio possiamo trarre da un disclaimer su Ovidio? A cosa mi giova sapere che potrei leggervi contenuti sessisti? Anziché porre un’etichetta su ogni libro potenzialmente pernicioso per la sensibilità delle persone, sarebbe molto più utile, allenare la mente delle persone a calibrare la propria sensibilità in base all’oggetto che abbiamo davanti. E se si vuole allenare la nostra ragione, il nostro pensiero critico, abituarci alla complessità, c’è quasi un unico modo: la lettura dei classici.
È impossibile pensare che i nostri valori attuali siano definitivi, come razza umana ci evolviamo continuamente e così i nostri punti di riferimento. Dal momento che prendiamo in mano una testimonianza di un passato ormai lontano, come possiamo pensare che questo passato scompaia o si modifichi o debba scomparire o modificarsi, perché la nostra personale sensibilità soggettiva lo richiede? Può l’arco temporale piegarsi di fronte a un singolo, facendo in modo che tutti i morti del pianeta si ripalesino davanti ad esso, per chiedere scusa di un comportamento non errato quand’essi erano in vita? Dobbiamo richiedere questa processione di spettri, alla maniera del dottor Daniel Paul Schreber?
Spettri
L’episodio che chiude la carriera di Coleman Silk avviene in un normale giorno di lezione, si reca in aula, fa l’appello, e per l’ennesima volta due studenti sono assenti. Così fa un’osservazione:
Does anyone know these people? Do they exist or are they spooks?
Qualcuno conosce queste persone? Esistono o sono degli spettri?Philip Roth, La macchia umana
Spook vuole sì dire spettro, fantasma, ma in gergo, significa anche “negro”, “negraccio”, in senso fortemente dispregiativo. Destino vuole che quei due studenti – che Coleman non ha mai visto – siano neri. Tutti sanno cosa intendeva il professore, tutti conoscono le reali intenzioni, ma nessuno può far niente di fronte allo sprofondare della sua carriera, il dittatore del perbenismo vince su tutto, anche sul buon senso. Non importa chi abbia davvero ragione, ma chi debba averla per evitare meno scandali possibili.
Cos’è un classico?
Ai tempi dei miei genitori, e anche ai miei tempi e ai suoi, le carenze erano dell’individuo. Oggi sono della disciplina. Leggere i classici è troppo difficile, dunque la colpa è dei classici. Oggi lo studente sbandiera la sua incapacità come se fosse un privilegio. Non riesco a impararlo, dunque dev’esserci qualcosa di sbagliato. E qualcosa di particolarmente sbagliato deve avere l’insegnante cattivo che pretende d’insegnarlo. Non ci sono più criteri, signor Zuckerman, ma semplici opinioni.
Philip Roth, La macchia umana
I classici non sono altro che libri, libri come tanti altri, che però sopravvivono. Avete idea di quanti libri vengano prodotti ogni giorno? Oggi numeri esorbitanti, ma anche nell’antichità, venivano scritti ogni anno moltissimi di questi pezzetti di carta su cui annotare i più disparati pensieri. Se avessimo tutti i libri mai scritti nella storia, saremmo sommersi.
Quando nel 47 a.C. bruciò la biblioteca d’Alessandria, si persero i due terzi del patrimonio librario prodotto fino a quel momento. Come fa notare Eugenio Montale nel suo discorso per la consegna del Premio Nobel, se oggi bruciassero centinaia di biblioteche d’Alessandria, ancora rimarrebbero troppi libri sulla Terra.
I classici sono, in questo marasma senza orientamento, le conchiglie più belle, quelle che vale la pena tenere, difendere con tutte le proprie forze. Sono quei libri che in ogni epoca, in ogni luogo, fanno emozionare chi li legge. Sono pagine che invecchiano benissimo, che per Calvino «hanno sempre qualcosa da dire». Eppure, un frammento così importante, non possiamo pretendere che parli la nostra lingua. Dovremo fare degli sforzi per capirlo, così come sono stati suoi gli sforzi per arrivare fino a noi. Sta a noi la capacità di interpretare, di tradurre, se si vuole, ciò che viene detto. E proprio in questo sta il valore più grande di un classico: è criptico, parla la lingua sibillina dei profeti, ma come i profeti ci annuncia la nostra umanità, ci ricorda ciò che siamo stati e potremmo essere. Ci insegna la mutevolezza dell’essere, la non appartenenza dell’uomo, la sua transitorietà. Ci insegna che il nostro valore più grande è la ragione e ci aiuta ad applicare questa ragione a ciò che vale davvero la pena di essere indagato: il bello, che ovviamente non sempre ha ragione o senso, ma ha sempre valore per un uomo.
* L’immagine in copertina è Lettrice, di Georges Kars, 1911, olio su tela.
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