Aftalina,  Articolo

Come funziona il mondo dello spettacolo in Italia?

Proviamo a fare chiarezza

Il mondo dello spettacolo dal vivo in Italia, e in particolar modo il mondo del teatro, è formato quasi completamente da realtà no-profit. Associazioni, fondazioni, onlus, enti del Terzo Settore e, infine, piccole compagnie e realtà non giuridicamente costituite popolano questo vasto mondo. Un ente no-profit è un ente che non può accumulare capitale e non può ridistribuire utili e avanzi di gestione, dovendo quindi reinvestire tutto ciò che guadagna in attività coerenti con la propria missione.

Verrebbe da chiedersi il perché di questo incipit. Il mio intento in questo articolo è quello di fare un po’ di chiarezza su come funziona il mondo dello spettacolo dal vivo in Italia, come si sostiene economicamente e perché molti meccanismi spesso obbligano chi lavora nel settore a svolgere un secondo o addirittura un terzo lavoro.

Questioni tipicamente italiane

Partiamo dal principio: lo spettacolo è cultura, e in quanto tale rientra al di sotto della giurisdizione del MIBACT/MIBAC/MIC: il Ministero della Cultura. Ebbene sì, ha molti nomi, o meglio: ha avuto molti nomi. Dopo essere passato nel 2013 da MIBAC (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) a MIBACT (la T aggiunta sta per “e del Turismo”, nel 2018 ha nuovamente perso la T, per poi riacquisirla nel 2019. Infine, nel 2021, qualcuno ha detto “basta” ed è diventato MIC (Ministero della Cultura). Tra parentesi: la storia della T sembra una barzelletta, ma ha costretto continuamente i lavoratori del mondo del turismo a non sapere a chi rivolgersi e a vedere cambiato il quadro normativo di riferimento per le attività del loro settore. Insomma, per quasi dieci anni il Ministero della Cultura e il Ministero delle politiche agricole e alimentari hanno giocato a ping pong con quella T, che rappresentava (almeno fino al 2019, prima del COVID) oltre un milione di operatori.

Dopo questa divertente ma triste premessa, possiamo quindi capire per quale motivo il mondo dello spettacolo sia basato su enti no-profit: lo spettacolo è cultura, e come tale dovrebbe essere un servizio offerto al cittadino, ad esempio, esattamente come la sanità. Ovviamente, esistono realtà teatrali italiane costituite come imprese, ma sono molto meno diffuse, perché non rientrano (o rientrano in maniera estremamente marginale) nei programmi di finanziamento pubblico di stato, regioni ed enti territoriali.

Quindi, proviamo ad andare un po’ più a fondo, e provare a rispondere a un po’ di domande spesso molto gettonate. 

Come si finanzia il mondo dello spettacolo in Italia? 

Per rispondere alla prima domanda: il mondo dello spettacolo in Italia si finanzia, per la maggior parte, su fondi pubblici. Per ragionare in maniera semplice: lo sbigliettamento (il ricavato dalla vendita dei biglietti) copre in media il 20% dell’intero insieme di costi sostenuti per allestire un evento teatrale. La restante parte dei costi viene coperta attraverso vari enti finanziatori: lo Stato (attraverso i fondi del Fondo Unico per lo Spettacolo), le regioni, i comuni, le pubbliche amministrazioni e le circoscrizioni, le fondazioni di origine bancaria (a Torino sono molto rinomate la Fondazione CRT e la Fondazione Compagnia di San Paolo), vari circuiti del settore (ad esempio, il circuito Piemonte dal Vivo o l’iniziativa Torino Arti Performative) e, infine, sponsor e finanziatori privati. Ovviamente, in genere, questi fondi (ad eccezione degli sponsor e dei finanziatori privati) vengono messi a disposizione annualmente attraverso la partecipazione di bandi pubblici, dove ogni ente mette a disposizione percentuali che difficilmente superano il 30% della copertura dell’intero budget di progetto.

Per dare un’idea, i bandi emessi dagli enti pubblici finanziano progetti per un totale che va dal milione a anche decine di milioni di euro ogni anno. Purtroppo, questi bandi sono spesso strutturati per favorire le iniziative di maggiore rilievo e strutturalità organizzativa, che investono molto sulla circuitazione degli spettacoli e sulla collaborazione internazionale, andando a escludere le piccole realtà emergenti.

Biglietti troppo costosi

Perché i biglietti costano così tanto rispetto ad altre forme di cultura (cinema, circo, eventi espositivi)? 

Allora, collegandoci con la seconda domanda ci chiediamo: perché i biglietti per andare a teatro costano così tanto, se coprono solamente il 20% dei costi? La risposta è estremamente complessa. Ovviamente la prima risposta è: costa andare a teatro perché i costi per organizzare eventi teatrali sono molto elevati. Sono molti gli aspetti che incidono sul budget di un progetto di spettacolo; possiamo suddividerli principalmente in: costi delle risorse umane (tutto il personale coinvolto), costi delle risorse tecniche (dalle scenografie alle sedie, dai microfoni ai costumi), costi per la promozione e la pubblicità, costi relativi a oneri fiscali e organizzativi (tasse, SIAE e tutela del diritto d’autore, polizze assicurative, licenze per l’esecuzione di pubblico spettacolo, amministrazione) e costi relativi alla logistica (trasporto di persone e materiali, alloggi).

Inoltre, bisogna considerare due fattori. Innanzitutto, molti spettacoli vengono rappresentati in teatri storici, che hanno costi di manutenzione e gestione molto più elevati dei teatri moderni. In secondo luogo, a differenza del cinema, per esempio, i costi per la messa in scena di uno spettacolo aumentano all’aumentare delle serate di replica: ogni replica in più è un costo a sé, mentre nel cinema, ogni proiezione ha costi inferiori rispetto alle repliche di uno spettacolo teatrale.

Vivere di solo teatro

Perché spesso si dice che i lavoratori dello spettacolo fanno fatica a trovare occupazione e si ritrovano a dover fare più lavori (spesso di natura diversa, come il cameriere o il fattorino delle pizze) per potersi guadagnare da vivere?

Rispondere all’ultima domanda è difficile, perché, anche qui, molti fattori incidono sull’occupazione dei lavoratori dello spettacolo. Indipendentemente dalla pandemia degli ultimi tre anni, possiamo dire che il teatro, a partire circa dagli anni ’60, ha acquisito sempre più esclusività, allontanandosi dal normale passatempo serale dei comuni cittadini italiani. Si potrebbe parlare ore su questo argomento, ma mi limiterò a essere tecnico. Molti lavoratori dello spettacolo in Italia sono liberi professionisti chiamati a progetto. Per quanto riguarda i dipendenti, la quasi totalità di contratti (conformi ai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro) è a tempo determinato, con stipendi minimi molto bassi. Sono estremamente rari i contratti a tempo indeterminato in questo settore, e si limitano ai teatri stabili, nello specifico agli amministrativi e a chi lavora stabilmente nell’organizzazione e nel backstage. Un secondo aspetto è relativo alle scuole di recitazione in rapporto al mondo del lavoro. Moltissimi professionisti dello spettacolo dal vivo (attori, registi, musicisti) spesso continuano a lavorare anche oltre l’età pensionabile. In questo modo, è difficile creare un ricambio generazionale snello e versatile per i giovani artisti. Si pensi che in media, da una scuola di recitazione come la Silvio D’Amico di Roma (per citare la più famosa della penisola), escono ogni anno una trentina di giovani attori: ecco, di questi trenta il mercato dello spettacolo ne ha effettivamente bisogno di due o tre.

Per fortuna (anche se per certi aspetti bisognerebbe dire “purtroppo”) il mondo dello spettacolo dal vivo ha da sempre una duplice natura: quella professionale (artisti che lavorano sotto contratto) e quella amatoriale (dilettanti che lo fanno per passione, guadagnandosi da vivere attraverso un lavoro diverso).

Se pensiamo ad altri Paesi Europei, ognuno di questi aspetti ha diverse caratteristiche e manifestazioni. In Germania, per esempio, la circuitazione degli spettacoli è molto più rara, e sono molto più diffusi teatri stabili con compagnie stabili di repertorio che lavorano a rotazione esclusivamente nella città di sede. O ancora, in Francia (ma anche in molti altri Paesi) le imprese dello spettacolo non hanno il limite finanziario che c’è qui in Italia, venendo considerate quasi alla pari degli enti no-profit, permettendo una prospettiva di crescita economica più ampia.

Tuttavia, dobbiamo dire che in Italia il teatro mantiene un’importanza storica e artistica assolutamente degna di nota, con edifici teatrali regali e maestosi e artisti di un livello incredibilmente alto e dalla creatività e impronta stilistica nota in tutto il mondo. Di questo, per fortuna, non ci possiamo lamentare!

* L’immagine in copertina è Karl Wolfgang Böhmer, Durante le riprese di un film, inizi del XX secolo, penna su carta. 

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