
Aspettando Godot, il ritardo universale
Samuel Beckett aspettava per salvare la Francia. Corriere per la Resistenza, possiamo solo immaginare quante ore ha speso aspettando un messaggio temendo che non sarebbe mai arrivato (o peggio). Tanto quanto non possiamo immaginare quante volte le sue caute preoccupazioni si siano rivelate infondate, almeno riguardo al suo futuro personale. Quante volte un’inquietante assenza è stata rotta da un rassicurante ritardo? Nel suo capolavoro Aspettando Godot (compralo qui) l’assenza del personaggio titolare è confermata, tuttavia nella vita quotidiana il ritardo è un qualcosa di molto più presente rispetto a una totale assenza. I nostri Godot molto spesso arrivano, seppur in ritardo.
Sono in ritardo!… e allora?
Quante volte arriviamo in ritardo, preoccupandoci di aver deluso le aspettative e aspettandoci un’eventuale ramanzina, per poi notare che anche tutti gli altri sono in ritardo, o che l’effettiva ragione concordata per l’appuntamento verrà messa in luce solo dopo lunghi convenevoli? Qual è l’ultima volta che il film è iniziato all’ora esatta scritta sul biglietto? Quante volte la verifica della prima ora è iniziata alle 8:40 piuttosto che alle 8:30? Insomma, anche se non passiamo informazioni alla Resistenza francese, il ritardo è parte integrante delle nostre vite. Di certo la società capitalista con il paradigma del time is money lo considera un taboo, un errore da correggere al fine della buona riuscita del piano commerciale. Da un punto di vista economico non capitalista, invece, il ritardo, o meglio, il ritardo implicato da flessibilità, può essere considerato chiave di volta. Esempio principale è la tradizione di mercanteggiamento che sopravvive ancora oggi in Maghreb. Qui non si può non pensare alla scena di Brian di Nazareth (compralo qui) dei Monty Python dove il protagonista, in fuga dalle guardie romane, compra una barba finta da un mercante, che però si sorprende quando scopre che non vuole mercanteggiare. Questo più che ritardo in senso stretto è più simile a un’attesa. Attesa tuttavia necessaria in culture ove un rapporto commerciale è anche un rapporto umano, dove mettersi d’accordo e conoscere il cliente è importante quanto la vendita stessa. In questa prospettiva più umana, un eventuale ritardo non inficia affatto l’affare, poiché appunto si accetta questa flessibilità. In Godot, tuttavia l’assenza totale del “mercante” stesso in questo caso genera una condizione di immobilità nei “clienti” Vladimiro ed Estragone.
Incertezza
Il problema principale sta nell’incertezza. Per tutta l’opera i protagonisti non sanno che Godot non arriverà mai. Di conseguenza, credono che arriverà in ritardo. Ma non sanno se sarà corto o lungo, come quando c’è qualcosa di inatteso che ci impedisce di arrivare puntuali e siamo incapaci di comunicare agli altri il nostro ritardo. È questa assenza di sicurezza e comunicazione che lascia per sempre soli i nostri Vladimiro ed Estragone, condannandoli a un purgatorio privo di senso. In questo caso il detto “meglio tardi che mai” è l’opzione migliore.
C’è l’imbarazzo della scelta sull’interpretazione di quest’opera. Il paragone dantesco di sopra implicherebbe una punizione divina, dove Godot non si presenta ai due come Dio non si presenta ai dannati del Limbo, ma proviamo a dare per buona la teoria che Godot, il misterioso uomo d’affari, sia semplicemente in ritardo. Per cosa possiamo essere in ritardo? Per i nostri cari? Arrivare tardi all’ospedale e non poter dare gli ultimi saluti a un parente sul letto di morte? O forse è qualcosa di più interiore, il nostro fanciullino pascoliano per caso? Incapace di invecchiare, il nostro Peter Pan rimarrà a marcire sull’Isola che non c’è senza nessuno con cui giocare? D’altronde se c’è qualcuno che soffre i ritardi altrui sono proprio i bambini. Oppure la spiegazione più semplice è quella più accurata: a volte ci dimentichiamo semplicemente di qualcosa da fare, e perciò non andiamo mai nel posto prestabilito. In questo caso il ritardo è una dimenticanza solo parziale, il male minore.
O addirittura, il nostro Godot arriva alla fine dello spettacolo, dopo due ore di spettacolo privo di azione, l’evento principale dell’opera è la sua stessa fine. Aspettando Godot è solo un preambolo. Ciò che viene dopo la rappresentazione sul palco della realtà: la realtà stessa. Anch’essa assurda, anch’essa tragicomica, anch’essa piena di ritardi.
* L’immagine in copertina è Attesa n. 3, di Roland Neveu (New Times Square, Taipei).
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