
Arato di Soli: il poeta delle stelle
Il vecchio Priamo lo scorse per primo che si slanciava
lungo la pianura brillando al pari della stella che suole
levarsi in tarda estate e i cui raggi splendono nitidi
fra molti astri nel cuore della notte: la chiamano
Cane d’Orione e nella volta celeste si staglia
con il suo fulgore, ma è segnale funesto perché porta
con sé molta febbre agli infelici mortali.– Omero, Iliade, XXII, 25-31.
Vita
Poche sono le notizie bibliografiche che ci sono giunte di questo poeta. Nacque forse a Tarso, nella regione della Cilicia (ma è stato cittadino di Soli, nella stessa regione) da Atenodoro e Letofila, ed aveva tre fratelli, Miris, Calionda e Atenodoro. Non abbiamo né la data di nascita né di morte, ma sappiamo che studiò ad Atene presso la scuola stoica di Zenone di Cizio e che venne invitato nel 276 a.C. a Pella da Antigono Gonata (319-239 a.C.), re di Macedonia, alla corte del quale ha vissuto fino alla morte.

Fenomeni e altre opere
Arato fu autore di opere di astronomia e medicina, compose Epigrammi, Inni a Pan, Epicedi, elegie, una raccolta di poesie brevi intitolata Κατὰ λεπτόν (katà leptón), un’edizione dell’Odissea e delle epistole in prosa.
Dei suoi scritti, però, c’è giunto solo il poema didascalico Fenomeni, in esametri, diviso in due parti: nella prima (vv. 1-732) rielabora in versi l’opera di Eudosso di Cnido sul firmamento, narrando le costellazioni e i miti a loro legati; la seconda (vv. 733-1154) segue il modello del De signis di Teofrasto, individuando dei segni grazie ai quali è possibile prevedere le condizioni atmosferiche.
Il proemio (vv.1-18) si apre con un’invocazione a Zeus, immanente in tutte le cose, il quale permette all’uomo, attraverso le stelle, di avere indizi precisi sulle stagioni nel corso dell’anno.
Da qui inizia la descrizione del firmamento: ai due poli opposti del mondo abbiamo le Orse (maggiore e minore), tra di loro il Drago e vicino al Drago Engonasi (o l’Inginocchiato), che ha l’aspetto di un uomo sofferente.
Seguono la Corona di Arianna, Ofiuco che regge il Serpente con le mani, mentre calpesta lo Scorpione; vicino ci sono le Chele, Boote e la Vergine (sotto i piedi di Boote). Dietro Boote ci sono invece il Vendemmiatore, Gemelli, Cancro, Leone, Auriga, Capra, Capretti e Toro; intorno all’Orsa Minore ci sono Cefeo, Cassiopea, Andromeda e il Cavallo. Poi abbiamo l’Ariete, il Triangolo, i Pesci, Perseo (che ha sulle spalle i piedi della sua sposa Andromeda) e le Pleiadi.
Accanto all’Inginocchiato c’è la Lira, l’Uccello, l’Acquario, il Capricorno, la Freccia, l’Aquila e il Delfino; tra mezzogiorno e l’orbita solare si trova il cacciatore Orione, seguito dal suo Cane che mette in fuga la Lepre. Sotto la coda del Cane abbiamo la Nave Argo e la Balena.
Tra la Balena e la Lepre ci sono ammassi di stelle senza nome, le cui meno luminose sono chiamate Acqua; sotto l’aculeo dello Scorpione si trova Ara, Centauro, Idra, Corvo, Cratere e Procione.
Infine Arato afferma che ci sono cinque stelle erranti che si muovono tra i segni dello Zodiaco delle quali non sa nulla; segue l’esposizione dei quattro cerchi della volta celeste (i due Tropici, l’Equatore e l’Eclittica).
I Fenomeni si concludono con l’osservazione del sorgere e del tramontare degli astri.

Cefeo, Cassiopea e Andromeda
I versi che prenderò in esame saranno quelli che tratteranno le vicende di questa famiglia e sono rispettivamente: i versi 180-205; 243-249; 354-357; 650-660.
La prima costellazione presentata da Arato è quella di Cefeo, re dell’Etiopia, marito di Cassiopea e padre di Andromaca, la cui illustre stirpe viene ricordata e celebrata tramite la menzione del padre Iaso. Cefeo, alle spalle dell’Orsa Minore, appare con le mani e le braccia tese.
Poi abbiamo la coniuge, Cassiopea, le cui stelle vengono descritte come poco estese e poco luminose, non ben visibili nelle notti di luna piena. Secondo la mitologia, la regina si era vantata di essere più bella delle Nereidi, divinità marine, perciò venne punita da Poseidone: il dio, infatti, mandò un mostro marino, Ceto, rappresentato dalla costellazione della Balena, a distruggere le coste del suo regno. L’unico modo per poter stornare tutto ciò, secondo l’oracolo di Zeus Ammone, era quello di sacrificare la figlia Andromaca proprio al mostro marino: la principessa fu incatenata a una costa rocciosa, ma venne salvata da Perseo, recatosi in Libia dopo aver ucciso la Gorgone Medusa, il quale uccise il mostro Ceto e sposò la fanciulla.
Cassiopea è raffigurata con le braccia tese e tormentata per la sorte della figlia.
Sotto la madre troviamo la costellazione della giovane Andromaca, molto più splendente di Cassiopea, e ciò permette di vedere chiaramente la sua figura in cielo: le braccia aperte, strette per sempre dalle catene, i piedi poggiati sulle spalle dello sposo Perseo, mentre il mostro Ceto continua a inseguirla fra le stelle. Andromeda tramonta con angoscia, mentre Noto getta su di lei la Balena, che tuttavia è allontanata dalla mano del padre Cefeo, il quale invece è trattenuto dalle Orse e non riesce a scomparire completamente nell’Oceano.
La saga di questa famiglia si conclude col tramonto della madre, l’infelice Cassiopea: come pena per la tracotante vanità che l’aveva portata a definirsi più bella delle Nereidi, la regina tramonta con un rocambolesco tuffo di testa, privo di grazia e bellezza.
Testo
CEFEO
Neppure può restare innominata
la sventurata stirpe
di Cefeo figlio di Iaso,
e infatti il loro nome giunse al cielo,
perché erano
assai vicini a Zeus.
Alle spalle dell’Orsa Cinosura
Cefeo appare nell’atto di distendere
entrambe le sue mani.
Lo spazio che si estende
tra la punta della coda
e i suoi due piedi è pari a quello teso
tra l’uno e l’altro piede.
Potresti spingere lo sguardo,
appena un poco dietro la cintura,
se cercassi la prima delle spire
del grande Drago.
CASSIOPEA
Di fronte a questo avanza a precipizio
Cassiopea la fatale,
che non appare in tutta la grandezza
nelle notti di Luna piena.
Infatti non sono molti gli astri
che incrociandosi le donano fulgore
delineando tutta la sua forma
con chiaro tratto.
Come una chiave,
con cui chi l’ha inserita in una porta
a due battenti chiusa dall’interno
tira indietro le spranghe, tali appaiono
le stelle che ne fanno la struttura
una a una.
Dalle piccole spalle si protende
a braccia aperte e tese:
diresti che è in angoscia per la figlia.
ANDROMEDA
Si volge infatti nello stesso luogo
la dolorosa immagine di Andromeda,
ben distinta sotto la madre.
Non credo che tu debba
guardare intensamente nella notte,
per avvistarla meglio,
tale è la testa, tali le due spalle
e le due punti dei piedi
e il giro interno della sua cintura.
Ma anche l’ giace con le braccia aperte,
anche in cielo conserva le catene
e per sempre ha le mani spalancate.
(…) A segnalarti il Pesce che è più a nord
sia la spalla sinistra
di Andromeda.
Si trova infatti a una distanza breve
mentre i suoi piedi possono indicare
lo sposo Perseo,
che sempre li porta sulle spalle.
(…) Un gran mostro marino, la Balena,
avanza verso Andromeda,
che si ritrae impaurita,
e l’incalza non molto da vicino.
Lei va avanti, piegata sotto il soffio
del trace Borea e nel frattempo Noto
le porta contro il mostro detestabile,
spinto sotto l’Ariete e sotto i Pesci,
e un po’ sul Fiume fulgido di stelle.
(…) Le parti di Andromeda
rimaste indietro e del Mostro marino
non lo ignorano quando viene fuori,
ma a tutta forza fuggono anche quelle.
Allora Cefeo con la sua cintura
sfiora la terra e immerge nell’oceano
il capo tutto intero,
non il resto del corpo, ma le Orse
gli trattengono i piedi, le ginocchia
e la cintola.
E l’infelice Cassiopea in persona
incalza la figura della figlia.
Non appaiono in modo regolare
i piedi e le ginocchia dal sedile
dall’alto in basso, ma, senza ginocchia,
va giù di testa, come un tuffatore,
soffrendo quella pena che le tocca.
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* L’immagine in copertina è Urania e Calliope di Simon Vouet, 1634, conservato a New Jersey (USA).
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