
Raccontami la tua storia: perché leggiamo le (auto)biografie
Giulia passione biografa
Fin dall’inizio dei tempi autori e storici hanno raccontato le vite dei grandi uomini (e non), penso a Plutarco, con le sue Vite parallele dove prende personaggi storici di rilievo dalla storia greca e da quella romana e li mette a confronto, raccontandone (appunto) parallelamente le vite. E in queste narrazioni c’è tutto: l’infanzia, i gossip, le imprese, fino agli ultimi giorni. Questa è stata una vera e propria moda dell’antichità, moltissimi si cimentavano in biografie, Cornelio Nepote (comprale qui), per esempio, autore romano del I sec. a.C., ma anche un altro romano, Svetonio (I-II sec. d.C., compralo qui), scriverà un Le vite degli uomini illustri (gli antichi avevano poca fantasia per i titoli, anche il libro di Nepote si intitola così). Addirittura anche Petrarca, che non perdeva occasione per darsi alla latinità, iniziò un libretto di biografie (incredibile a dirsi, pure questo si chiama allo stesso modo).
Oltre a questa tradizione classica che continua ancora per molto, saranno in tanti a voler documentare le vite di persone grandiose che incontravano. Quando Caterina da Siena, giovanissima, morirà, Raimondo da Capua, suo confessore e fedelissimo apostolo si impegnerà moltissimo per scrivere una sua biografia. Oggi gli studiosi chiamano questo preziosissimo libro Legenda maior (compralo qui) e Raimondo poté permettersi di parlare con la madre di Caterina, coi suoi fratelli, lui stesso la conobbe e ci ha permesso di sapere tutto di lei, persino i suoi primissimi anni di vita.
Ma perché in fondo tutta questa passione per i dettagli minimi della vita delle persone? Da dove scaturisce la curiosità per i fatti privati della vita dei vari personaggi della storia?
Rileggerci: autobiografie
Sto leggendo in questi giorni la Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso (comprala qui) e mi sto divertendo più di quanto mi aspettassi. Alfieri è famoso per essere un tragediografo, personalmente non di quelli che amo di più: la piacevolezza e musicalità del suo verso è straordinaria, ma la sua riscrittura moralistica di tragedie classiche mi risulta sempre un po’ nauseante. Credo invece che la sua autobiografia sia semplicemente un libro straordinario e non sono l’unica a crederlo.
Decide di scrivere della propria vita principalmente per due motivi:
- Un po’ di sano autocompiacimento e narcisismo
Il parlare, e molto più lo scrivere di sé stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amor di sé stesso.
- Indagare l’uomo
Intendo di estendermi su molte di quelle particolarità, che, sapute, contribuir potranno allo studio dell’uomo in genere; della qual pianta non possiamo mai individuare meglio i segreti che osservando ciascuno sé stesso.
Molto interessante a questo proposito è anche la citazione che mette all’inizio dell’opera:
Pianta effimera noi, cos’è il vivente?
Cos’è l’estinto? – Un sogno d’ombra è l’uomo.Pindaro – Pizia, VII v. 135
Mi sembra che proprio questo il punto nodale: ci piace ritrovarci nella storia di altri uomini. Il che è fondamentalmente quello che ricerchiamo anche nei libri in generale, ma le biografie maggiormente ci trasmettono questo. È come quando a inizio film compare la scritta:
Tratto da una storia vera.
Improvvisamente questo lo rende molto più interessante. Un romanzo o qualsiasi opera di finzione rischia sempre di essere sopra-tono, si esagerare alcuni aspetti della realtà, dimenticarne altri. Una biografia invece ci racconta gli errori e le sbavature della realtà che siamo abituati a vivere, in qualche modo normalizzandoli. Sembra quasi un bias cognitivo, cerchiamo la conferma di ciò che siamo abituati a vivere nelle parole di uomini che riteniamo più autorevoli.
I passi più amati dai lettori della Vita di Alfieri sono i più buffi, quelli che sottolineano l’umanità del suo protagonista. Per esempio è stupendo l’episodio di un Vittorio ancora bambino, il cui balio lo obbliga – per punizione – ad andare in chiesa con un’orrenda retina per capelli, facendolo vergognare fino alle lacrime. Oppure quando un Vittorio ventenne, innamorato perso di una donna che però non ritiene degna di sé stesso, si fa legare alla sedia dal suo servitore Elia, purché non vada a trovarla e continui a studiare. Per questo leggere questo libro è così piacevole, oltre che per la grandissima abilità di Alfieri, di alternare ironia e serietà, di non prendersi mai troppo sul serio e di conseguenza ridere con noi di questa pazza umanità, che spesso fa cose non così cariche di senso: come leggere biografie, per valorizzare e legittimare in qualche modo le proprie mancanze.
* L’immagine in copertina è una fotografia della metà del 1800, di autore sconosciuto, conservata al Metropolitan Museum.


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