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Finzione, Natura e Meraviglia: la guida di Leopardi nel cammino di Caparezza

(Contro)cultura

Spesso si sente dire che è necessario fare attenzione a questo mondo ipertecnologico e fittizio, fatto di interazioni virtuali e macchine sempre più intelligenti, per non allontanarsi dalla realtà, ovvero un’esistenza più in armonia con la natura, più autenticamente umana nel rapporto con se stessi e con gli altri. Ma un “ritorno alle origini” è davvero possibile o auspicabile? E se non è così, in quale dimensione l’uomo può (ri)trovare la felicità?

Sono queste alcune delle domande che emergono negli ultimi lavori di Caparezza, rapper originario di Molfetta, noto al grande pubblico per canzoni come Fuori dal Tunnel e Vieni a ballare in Puglia e per una grande vena satirica nei confronti dei costumi, della cultura, della politica italiana contemporanea. Nei due album più recenti, tuttavia, Prisoner 709 (2017) ed Exuvia (2021), il tono e gli argomenti si sono fatti più cupi, sofferti, introspettivi e allo stesso tempo rivolti a questioni universali. In particolare, ci sono due tracce che possono essere collegate fra loro e che hanno in comune un’ispirazione letteraria: l’Infinto, quattordicesimo brano di Prisoner 709, e Contronatura, settimo brano di Exuvia.

Immerso nella natura

Caparezza non è nuovo all’utilizzo di riferimenti classici nei suoi testi, che però raramente si riducono a citazioni superficiali, ma costituiscono il punto di partenza per riflessioni personali all’interno di un percorso tematico e narrativo che si sviluppa lungo tutto l’album. Nel caso di Exuvia, l’autore si immagina perso in una foresta, tormentato dal suo passato e dalle sue canzoni, e ogni pezzo rappresenta una tappa nella sua fuga dal labirinto e rinascita. Contronatura si inserisce quindi in un punto preciso: dopo aver mosso i primi passi nella selva, il narratore-protagonista deve fare i conti con l’ambiente ostile che lo circonda.

Nel breve interludio che funge da cerniera fra questo brano e il precedente, dal titolo eloquente La matrigna, si fa esplicita menzione del modello in questione: si tratta del celebre Dialogo della Natura e di un Islandese di Leopardi, contenuto all’interno delle Operette Morali (1824, comprale qui). L’interlocutore umano, che proviene appunto dall’Islanda, una delle regioni più inospitali del mondo, minacciata dal gelo e dai vulcani, si era messo in viaggio alla ricerca di un clima mite, dove poter «vivere una vita onesta e tranquilla […] non offendendo non essere offeso, e non godendo non patire». Era convinto che la natura avesse destinato al genere umano un luogo dove, conducendo una vita sobria e virtuosa, prosperare senza affanni; il suo pellegrinaggio però lo pone di fronte ai pericoli dei fenomeni atmosferici, delle catastrofi, della ferocia degli animali, delle malattie, e lo induce a pensare che la natura sia nemica, che ci abbia infuso desideri che vanno oltre l’autoconservazione solo per poi beffardamente
negarci ogni possibilità di una serenità duratura.

L’incontro con la personificazione della Natura, però, nella forma di bellissimo busto di donna appoggiato a una qualche montagna dell’Africa equatoriale, conduce a un’altra verità: la natura è una forza al di là del bene e del male; non solo i mali che colpiscono l’uomo non sono frutto di una sua volontà, ma neppure si accorge di noi, che siamo solo un ingranaggio, una particella nel meccanismo di distruzione e generazione dell’universo. Tutto questo è presente in Contronatura. Il testo è asciutto, tagliente, dal ritmo serrato grazie alle allitterazioni e ai suoni aspri. Allo stesso modo la melodia, dominata da percussioni, effetti sintetici, grida disarticolate. Nel ritornello, in particolare, si associano gesti o parti del corpo a elementi del mondo naturale:

Mi abbracci, anaconda
Mi baci, barracuda
Mi salverò dall’onda
Se andrò contronatura
Hai l’occhio di Katrina
La lingua è Krakatoa

Il risultato è di grande efficacia espressiva: invece che percepire semplicemente una silhouette femminile, è la mente dell’ascoltatore a collegare insieme i pezzi di questa entità decomposta e a sovrapporli a una figura umana e senziente. Figura che prende parola a un certo punto e si dimostra affine alla descrizione di Leopardi:

Sono così bella che mi perdoni tutto
Sono così bella che sono sempre nel giusto
Sono così bella, non posso farti del male
Sono così bella, di una bellezza letale

La conclusione è paradossale: l’uomo che si cura della natura lo fa per se stesso, non per la natura, il cui “principio” è la ricerca bulimica di prevalere e proliferare, senza badare ad alcun equilibrio se non quello delle leggi dell’universo. E tuttavia «va bene così»: è giusto andare contronatura, è giusto agire e plasmare il mondo, entro certi limiti, non solo per sopravvivere, ma anche per realizzarsi pienamente.

Tu di che ti meravigli?

Per capire meglio cosa intenda Caparezza, è utile fare un passo indietro e soffermarsi sull’Infinto, pezzo associato ancora una volta al (quasi) omonimo componimento del poeta di Recanati. Nel penultimo album, Prisoner 709, il rapper indossa le vesti simboliche di un prigioniero, che riesce finalmente ad aprire una porta, di cui sentiamo il cigolio ad inizio del brano, e a guardare il mondo esterno da una finestra. Il sottotitolo La Finestra: Persone o Programmi ci introduce all’inattesa rivelazione che verrà condivisa dall’autore, e che sta tutta in quella minima differenza fra il titolo della traccia e quello dell’opera di Leopardi: 

Solo accettando la finzione 
noi
ritroveremo l’umanità. 

Le strofe sono una lunga carrellata di esempi provocatori che dimostrano quanto la nostra vita sia inscindibile dalla tecnologia e dal virtuale: dalle operazioni bancarie online ai social, dalla chirurgia estetica e il bodybuilding agli androidi identici all’uomo di Hiroshi Ishiguro. A questo punto, non è nemmeno inverosimile pensare che tutta la nostra realtà non sia altro che un «Human Simulator», un esperimento frutto di un qualche «Beta tester celeste» che gioca con le nostre vite: un’ipotesi che sostenne anche Elon Musk in una conferenza del 2016 e che lo stesso Caparezza ammise in un’intervista essere stata lo spunto per la canzone.

In tutto questo cosa c’entra Leopardi? Lo scopriamo nell’ultima parte del brano, quando subentra dopo il ritornello un verso dell’Infinito: «io nel pensier mi fingo». Una singola frase, che risponde e conferma la tesi iniziale; una seconda voce corale ripete con enfasi la parola fingo, indicando dunque questo verbo come il fulcro della rielaborazione dell’autore. E a buon diritto Caparezza pone l’accento su questo passaggio: Leopardi usa infatti il termine fingere in un’accezione più forte rispetto a quella cui siamo abituati, intendendo cioè l’immaginazione come una forza quasi creativa, cosmica, e lo pone al centro del componimento per suggellare la natura fittizia di questa «immensità» che tanto lo inebria.

Gli «interminabili spazi» e i «sovrumani silenzi» del genio artistico non hanno nulla da invidiare allo stormire delle foglie, ma anzi sono lo spazio e il tempo del piacere e, per tornare a Caparezza, dell’umanità. La finzione non è necessariamente un male, il presagio di una deriva verso una società robotica. Un sorriso di una hostess, lo stupore simulato per un regalo di compleanno, l’arte stessa sono tutti elementi non strettamente “veri”, eppure capaci ciascuno a loro modo di donarci uno scampolo di gioia intensa, perché inaspettata. «Tu di che ti meravigli?» è la domanda che viene rivolta all’ascoltatore. La meraviglia è proprio la cifra del rapporto fra uomo e mondo, quel filtro particolare con cui ne scopriamo, o meglio ne inventiamo, la bellezza, rendendolo abitabile, a dispetto della sua natura.

* L’immagine in copertina è Monaco in riva al mare, di Caspar David Friedrich (1808-1810).

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