
Libri di femmine per femmine
Jane Austen. Virginia Woolf. Elsa Morante. Clarice Lispector. Alice Munro. Potrei
continuare, è un elenco finalmente lungo e che finalmente mostra una varietà
stupefacente di scritture femminili dai classici fino a oggi. Ma si stenta a
prenderne atto. Per esempio le donne che scrivono sono ancora messe a confronto
solo tra loro. Puoi essere più brava di altre scrittrici di fama ma non più
brava di scrittori di fama. Come è rarissimo che grandi scrittori dichiarino di
aver avuto a modello grandi scrittrici.
Sarà capitato a tutti alle superiori, durante le lezioni di letteratura, mentre si sta parlando di una qualsiasi corrente o periodo letterario, sentir dire dal professore/professoressa: «In questo periodo c’è anche una scrittrice donna, tal dei tali» e via si prosegue oltre. Oppure sentir parlare di “letteratura femminile”, far rientrare un certo libro, magari fresco di stampa, sotto questa etichetta. Ma cosa significa di preciso? Cos’è la letteratura femminile?
È diversa dalla letteratura femminista, che è accumunata da un argomento comune, quello del femminismo e dei vari discorsi che possono ad esso associarsi. Quella femminile non è altro – letteralmente – che normalissima letteratura scritta da una donna. Tralasciando il limite strutturale di questa definizione, che divide in due la produzione libraria con categorie arbitrarie, come se nulla ci fosse nel mezzo tra l’essere una donna o un uomo.
Ma anche accettando che esistono soltanto queste due categorie, aut-aut, perché è importante che siano precisate di fronte a un libro? Di un libro si dicono molte cose, si dice a che genere afferisce, in che lingua è scritto e generalmente anche a quale letteratura nazionale fa riferimento. Se dico che un libro fa parte della letteratura americana/francese/cinese sto dando un’indicazione importante, perché segnalo che esso afferisce a tutto un sistema di simboli, a un universo-mondo ben preciso; questo non vuol dire che chi non fa parte di quel sistema non possa leggere il testo in questione, ma che semplicemente deve tener conto di questo dato, per una corretta comprensione.
Dunque, viene un dubbio: serve l’etichetta “letteratura femminile” a darci un’informazione simile? Un libro scritto da una donna afferisce a uno schema di pensiero differente? In parte sì, questo può essere vero o almeno può sembrarlo, ma non potrebbe essere una costruzione fittizia?
Dunque esiste una letteratura maschile?
La domanda sorge spontanea, se esiste quella femminile, perché non quella maschile? Eppure essa non esiste. Questo perché essa è la letteratura di default, rispetto alla quale i libri delle donne sono una devianza, un percorso altro, necessariamente distinguibile dalla vera Letteratura. Così dunque si è associato all’idea di “letteratura femminile” una serie di stereotipi di genere: sono scritture generalmente intimistiche, memoriali, sentimentali, dove il “cuore” la fa da padrone, le protagoniste sono sempre autobiografiche e parlano dei loro problemi personali trasfigurandoli in una storia fittizia.
Suona un po’ sminuente. Le donne non sono numericamente una minoranza, sono il 50% della popolazione mondiale, non è possibile che nessuna di loro abbia una originale visione del mondo e della scrittura, che a loro manchi quella capacità – che invece hanno gli uomini – di poter scrivere di tutto, di immaginare l’inimmaginabile, di esprimere l’inesprimibile.
Quello che è stato creato è un ghetto, una gabbia d’oro, si relega al suo interno i libri altri e sotto questa etichetta è annidato un pregiudizio: la letteratura delle donne non è mai pienamente Letteratura; è nominare un donna nel lungo elenco degli uomini per lavarsi la coscienza.
Il problema di essere scrittrici
Così Elena Ferrante, autrice di grande successo degli ultimi decenni, spiega il disagio di avvicinarsi, da donna, alla scrittura:
Da ragazzina – dodici, tredici anni – ero assolutamente convinta che un buon libro dovesse per forza avere per protagonista un uomo e mi deprimevo. Questa fase si è esaurita nel giro di un paio d’anni, a quindici anni ho cominciato a mettere al centro dei racconti fanciulle molto coraggiose in gravi difficoltà. Ma mi è rimasta – anzi direi che si è consolidata – l’idea che i grandi, grandissimi narratori, erano uomini e che bisognava imparare a raccontare come loro. Divoravo libri, a quell’età, ed è inutile girarci intorno, miravo a modelli maschili. […] Per capirci non volevo scrivere come Madame de La Fayette o Jane Austen o le Brontë – allora di letteratura contemporanea sapevo pochissimo, – ma come Defoe o Fielding o Flaubert o Tolstoj o Dostoevskij o persino Hugo. Mentre i modelli offerti dalle narratrici erano pochi e mi sembravano per lo più tenui, quelli dei narratori erano numerosissimi e quasi sempre abbacinanti. Ai miei occhi la tradizione narrativa maschile offriva una ricchezza di impianto che nella narrativa femminile non mi pareva ci fosse.
Elena Ferrante, La frantumaglia
Se per ragioni storiche evidenti è normale che per lungo tempo le scrittrici donne sono stata numericamente inferiori e di gran lunga, quindi è facile pensare che “i più bravi” fossero tutti uomini; questo non è più vero. È dall’inizio del Novecento che le donne scrivono e tanto, sono tantissimi i libri notevoli, eppure rimane questo pregiudizio di base. Sul caso Ferrante stesso si è creato una situazione ambigua: perché indubbiamente la migliore scrittrice (anche rispetto agli scrittori) italiana degli ultimi trent’anni, che ha avuto un successo mondiale inimmaginabile per un autore della nostra penisola, su cui si tengono convegni annuali nelle più importanti università del mondo, perché questa scrittrici non ha vinto il Premio Strega nel 2015?
Si tende a trattare con sufficienza i libri delle donne, non sempre, non da tutti, ma questa tendenza esiste e si crede che siano libri magari belli, ben scritti, ma “roba da donne”, che leggeranno soprattutto donne e che in fondo, se non nominandole an passant, non è il caso di studiare a fondo sui banchi di scuola.
Conclusioni e confessioni
Tutto questo per dire che anche io ci sono cascata, inconsciamente ho sempre pensato che nessuna scrittrice donna potesse essere paragonata ai Grandi Autori: si chiama maschilismo interiorizzato. E va bene così, tutti sbagliano, soprattutto quando è la società a indurci a farlo, ma bisogna fare un passo oltre. Non tutte le donne scrivono libri di rilievo, come è normale, neanche gli uomini lo fanno, ma c’è un motivo se Jane Austen viene pubblicata e letta ancora oggi e no, non è solo perché scrive romanzetti rosa che fanno battere il cuore alle adolescenti. Quello lo fa anche John Green, Federico Moccia, gli Harmony, ma dubito sinceramente che il tempo non li seppellirà molto presto nella dimenticanza generale. Jane Austen sopravvive al tempo perché scrive bene, perché è un’Autrice di valore, anche se questo non le viene sempre riconosciuto.
Ho letto di recente Christa Wolf, avevo già letto La città degli angeli, che per sua naturale natura è un libro un po’ tiepido, come tutti i libri fortemente ancorati a un periodo storico e particolarmente contingenti, ma la sua Cassandra è stata una rivelazione incredibile. Ho letto La principessa di Cléves di Madame de La Fayette, che (mea culpa) nemmeno avevo mai sentito nominare prima di quest’anno ed è un libro di una forza incredibile. Scritto a metà del ‘600 propone un modello di donna inaudito e che tale rimarrà per molto tempo ancora: la donna che non cede al seduttore e nemmeno si suicida. Anna Karenina e Madame Bovary sono romanzi stupendi, ma sinceramente non se ne può più di queste donnine indifese, frivole, che credono solo alla vanità e la cui massima aspirazione è farsi sedurre da un uomo e il cui più grande dubbio esistenziale è se vivere nella passione o senza, se morire per amore o vivere per farsi amare.
Ho letto anche di recente Via col vento di Margaret Mitchell, che credevo l’ennesimo romanzetto d’amore, quando si è rivelato un romanzo storico di grandissimo valore, scritto con grande sapienza e che rivela profonde doti di osservazione del proprio tempo, della società, della psicologia più profonda delle persone. Sto invece leggendo Una donna spezzata di Simone de Beauvoir, che dopo solo due ore di letture mi aveva già gettato nel più grande sconforto e che in solo cinquanta pagine ha toccato corde del mio animo che pile di libri non sono riusciti a fare. Sempre in corso di lettura è Dalla parte di lei di Alba de Céspedes: sempre una donnina che muore per amore, ma non di un uomo, bensì di una figlia, storia di una solidarietà femminile che va oltre gli stereotipi delle donne megere tra le megere, dal punto di vista di una figlia che sopravvive, che studia, che si erge sopra la vita con placida determinazione.
A che pro questo elenco? Nulla, solo che due mesi mi sono bastati per scoprire scrittrici di un valore incredibile, libri di una qualità impensabile, pensate quanto si potrebbe leggere di bello, se si iniziasse a leggere durante tutta la vita scrittrici donne, oltre agli uomini.
* L’immagine in copertina è, Boris Grigoriev di Woman Reading, 1922


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