
Gaio Valerio Catullo: carmi d’amore perduto
La mia donna dice di non voler fare l’amore con altri,
se non con me, neppure con Giove, se la corteggiasse.
Dice così; ma quel che la donna dice all’amante folle di passione
bisogna scriverlo sul vento, sull’acqua che scorre veloce.– Catullo, Carme 70.
Vita
Non abbiamo molte informazioni biografiche su Catullo: sappiamo che nacque a Verona fra l’87 e l’82 a.C. da una famiglia provinciale benestante, che gli permise di avere un’ottima formazione scolastica e che aveva un legame di amicizia con Giulio Cesare.
Si trasferisce a Roma prima del 66 a.C. e probabilmente vi studiò retorica; intorno al 60 a.C. suo fratello morì in Troade (non conosciamo il motivo per cui si trovasse lì) e questo costrinse Catullo a ritornare velocemente a Verona. Nel 57 a.C. Catullo accompagnò in Bitinia (antica regione dell’Asia Minore) il pretore Gaio Memmio Gemello con l’amico Gaio Cinna e andò a visitare anche la tomba del fratello (carme 101).
Alternava lo studio a una vita di molti svaghi, divertimento e dissolutezze: si introdusse molto bene nella società mondana romana e strinse legami con altri poeti che condividevano i suoi valori e la sua visione del mondo, pur rimanendo legato alla sua terra d’origine.
Uno degli eventi più importanti per la sua vita e per la sua poesia fu senz’altro il suo amore per Lesbia, pseudonimo (dato in onore della grande poetessa Saffo, originaria dell’isola di Lesbo, nel mar Egeo) con cui Catullo si rivolge alla sua donna. Questa donna misteriosa viene identificata da Apuleio (Apologia, 10) con Clodia, una delle tre sorelle del tribuno Publio Clodio Pulcro e moglie di Quinto Metello Celere.
Non si sa quando e dove il poeta la conobbe: la relazione andò avanti per alcuni anni e fu molto tormentata, con infedeltà, litigi, gelosie, effimera felicità. Dopo la morte del fratello e del marito di Clodia, la loro relazione si concluse: Catullo tornò nella casa paterna a Verona e, quando fece ritorno a Roma intorno al 58 a.C., Clodia aveva un nuovo amante, Marco Celio Rufo, e respinse il poeta.
Ma a un certo punto Lesbia ritorna tra le braccia del poeta, non per amore, bensì per vendicarsi del suo ex-amante, Marco Celio Rufo, che l’aveva schernita in tribunale. Lei gli propone una relazione puramente fisica, mentre lui aspirava a qualcosa di più profondo. Ben presto Catullo iniziò a dubitare della fedeltà della sua amata e l’odio e l’amore iniziarono a mischiarsi. L’ultima carme indirizzato a Clodia è del 55/54 a.C. e non sappiamo quanto visse dopo questo componimento: probabilmente morì nel 54 a.C. , a trent’anni, Catullo morì.

Il liber catullianus
La raccolta di poesie catulliane a noi pervenute è conosciuta con il nome di Liber: 116 carmi, ossia componimenti poetici, divisi generalmente in tre gruppi:
· Carmi dall’ 1 al 60: i metri sono vari e diversi, mentre la lunghezza del carme è breve. La maggior parte di essi cantano l’amore per Lesbia;
· Carmi dal 61 al 68: sono definiti carmina docta (ossia carmi dotti) e sono caratterizzati da uno stile più ricercato, da un’estensione maggiore e dal riferimento al mito. Si rifà soprattutto allo stile alessandrino (sviluppatosi tra il IV e il I sec. a.C.), erudito e molto elaborato;
· Carmi dal 69 al 116: composti in distici elegiaci. Trattano di vari argomenti, principalmente amorosi e satirici.
Catullo sviluppa molti tematiche nelle sue poesie, prendendo spunto sia dalla sua vita privata e dal suo vissuto sia dalla società romana intorno a lui: spesso beffeggia e attacca uomini del calibro di Cesare e Cicerone, ricorrendo a un linguaggio osceno e omoerotico, con il quale si scaglia anche contro i suoi nemici.
Il poeta si lascia andare anche all’ironia, alla malinconia e alla riflessività; cardine è anche il tema dell’amicizia, valore molto importante e caro a Catullo, che spesso nei suoi versi si confida e si rivolge ai suoi amici.
Sicuramente il cuore della sua opera si incardina sulla figura di Lesbia e sull’amore che a lei lo lega: attraverso i suoi componimenti siamo in grado di ricostruire la loro travagliata relazione, dall’inizio alla fine.
La felicità e la passione contraddistinguono i primordi del sentimento catulliano, sebbene la società romana vedesse l’amore come mero desiderio fisico e non di affetto e l’adulterio femminile (bisogna ricordare che Lesbia-Clodia era una matrona romana aristocratica, sposata, con dieci anni in più di Catullo) come una violazione gravissima. In questo Catullo fu un rivoluzionario, dal momento che per primo intrecciò l’emozione amorosa con la sfera affettiva e sfidò la morale romana mantenendo una relazione proibita con una donna sposata.
Un’altra novità rilevante introdotta dal poeta è il concetto di fides (“lealtà”, “fedeltà”) trapiantato nell’ambito sentimentale da quello politico: per Catullo è fondamentale che la relazione si fondi sull’affetto e la fedeltà reciproca. Ben presto, però, Lesbia non manterrà fede alla promessa fatta al suo amato e si rivelerà una compagna infedele, il che porterà a Catullo un immenso dolore e alla famosa contraddizione del carme 85, odi et amo: la desidera sempre di più, ma non le vuole più bene come prima e questo contrasto dilania il suo cuore.
Al lamento per l’incapacità di smettere di amarla e per la disillusione si alterna l’insulto, dettato dalla rabbia e dalla sofferenza.
Catullo appartiene ai cosiddetti poetae novi (“poeti nuovi”) o νεώτεροι (neòteroi, “più giovani”), definiti così da Cicerone, un movimento che porta a Roma lo stile e le tematiche alessandrine: infatti, la crisi della res publica romana interessa anche la letteratura latina e porta alla nascita, tra il II e il I sec. a.C., della lirica, contraddistinta dalla soggettività e dal disinteresse politico, ispirandosi appunto alla poesia ellenistica. Stilisticamente, il poeta attinge molto al linguaggio colloquiale, ma accostandolo a espressioni e strutture raffinate ed elaborate.

Carme 76
Questo è uno dei carmi più profondi della produzione di Catullo, il quale sembra essere in punto di morte (v. 18), e questa condizione precaria lo porta a riflettere sulla sua vita e sulle sue decisioni: lui ha sempre rispettato le promesse ed è stato fedele a una donna che non ha mai fatto altrettanto, ma che, anzi, lo ha ferito ed abbandonato.
Il poeta si apostrofa e cerca in ogni modo di autoconvincersi a lasciare andare Lesbia, a smettere di soffrire, ma non ci riesce: chiede, perciò, aiuto agli dei, in nome della sua devozione religiosa e della sua bontà. Non desidera che lei lo ami e che gli sia fedele (visto che non crede sia possibile), ma che i numi gli strappino dal cuore questo male che lo consuma e che lo dilania da tanto tempo, da quando si è innamorato di lei.
Catullo adopera molti termini inerenti alla sfera politica, militare e religiosa per descrivere la sua situazione amorosa e individuale. Questo componimento, per la sua lunghezza, può essere considerata una breve elegia (infatti è in distici elegiaci) e suddivisa in tre parti:
- versi 1-12: Catullo ricorda le sue buone azioni e il fatto di non aver mai tradito una promessa, e si esorta a non tormentarsi e a essere coraggioso;
- versi 13-16: Decide di recidere il legame sentimentale con Lesbia;
- versi 17-26: Intona una vera e propria preghiera agli dei, ai quali chiede di guarirlo da questa malattia d’amore.
Se è vero che gli uomini provano piacere nel ricordare
il bene compiuto, quando hanno la convinzione di essere onesti [1],
di non aver mai mancato alle promesse, né ingannato i loro simili
in alcun giuramento [2], invocando, in mala fede, la potenza dei numi,
allora, o Catullo, nella tua esistenza futura ti attendono molte
soddisfazioni, che scaturiscono da questo tuo non ricambiato amore.
Poiché tutto ciò che di bene gli uomini possono o dire
o fare ai loro simili, tu l’hai detto e l’hai fatto:
ma la bontà è stata inutile con quella donna che il cuore ha ingrato.
E allora perché tormentarti più a lungo?
Perché non ti fai coraggio e non ti scosti da lei
e la smetti d’essere infelice, se i numi ti sono contrari?
È difficile spezzare di colpo un lungo legame amoroso.
Lo so che è difficile; ma ci devi riuscire comunque.
Questa è la sola salvezza; qui devi vincere te stesso.
Devi farlo, sia che tu lo possa, sia che non lo possa.
O dei [3], se è vero che siete misericordiosi, o se mai proprio
in punto di morte avete recato a qualcuno l’aiuto supremo,
volgete lo sguardo su me infelice e, se sono vissuto senza colpa,
strappatemi dal cuore questo male che mi conduce a rovina, questo flagello
che, penetrato come un languore fino in fondo alle fibre [4],
mi ha cacciato via completamente dal petto la gioia.
Ormai non vi rivolgo più quella preghiera, che ricambi il mio amore,
oppure (tanto non è possibile) che voglia restarmi fedele.
Sono io che voglio guarire e liberarmi da questo male oscuro [5].
O dei, fatemi questa grazia in cambio della mia devozione.
(Traduzione di Francesco Della Corte)
Si qua recordanti benefacta priora voluptas
est homini, cum se cogitat esse pium,
nec sanctam violasse fidem , nec foedere nullo
divu m ad fallendos numine abusum homines,
multa parata manent in longa aetate, Catulle,
ex hoc ingrato gaudia amore tibi.
Nam quaecumque homines bene cuiquam aut dicere possunt
aut facere, haec a te dictaque factaque sunt:
omnia quae ingratae perierunt credita menti.
Quare cur te iam amplius excrucies?
Quin tu animo offirmas atque istinc teque reducís
et deis invitis desinis esse miser?
Difficile est longum subito deponere amorem;
difficile est, verum hoc qua lubet efficias.
Una salus haec est, hoc est tibi pervincendum;
hoc facias, sive id non pote sive pote.
O di, si vestrum est misereri, aut si quibus umquam
extremam iam ipsa in morte tulistis opem ,
me miserum aspicite et, si vitam puriter egi,
eripite hanc pestem perniciemque mihi,
quae mihi subrepens imos ut torpor in artus
expulit ex omni pectore laetitias.
Non iam illud quaero, contra me ut diligat illa,
aut (quod non potis est) esse pudica velit;
ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum .
O di, reddite mi hoc pro pietate mea.
Note:
[1] Il termine latino pius (rispetto dei doveri civili, religiosi e militari) qui è impiegato delimitando il suo significato alla devozione degli dei e dei legami sentimentali.
[2] Catullo usa fides (“fedeltà”, “lealtà”) e foedus (“patto”, “accordo”), tratti dalla sfera militiare-politca, per tratteggiare la sua relazione con Lesbia.
[3] Spesso l’innamorato si rivolge alle divinità perché lo liberino dall’amore, che gli causa troppo
sofferenza.
[4] L’amore rappresentato come malattia è un motivo ricorrente nella lirica amorosa; anche al verso 27 il poeta fa riferimento all’anelata “guarigione” da questa malattia (morbum).
[5] Con morbum si definisce un amore troppo appassionato.
Bibliografia:
- Catullo, I canti, edizione Bur
* L’immagine in copertina è Affresco di Saffo, rinvenuto a Pompei, ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.


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