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Dalla parte di Gemma. Quello che non sappiamo sulla moglie di Dante

Beatrice: la lodata donna-angelo

Quando Dante nel secondo capitolo della Vita Nuova descrive la prima volta in cui, all’età di nove anni, la tanto amata Beatrice compare in chiesa davanti a lui, suscitando, le più profonde emozioni nel cuore del futuro poeta, il lettore moderno, figlio di una sensibilità forse troppo pesudo-romantica, è spinto a immaginare che da quell’incontro, così mistico e soave,  possa nascere un’indimenticabile storia d’amore. Così apparentemente succede, almeno dal punto di vista di Dante, che da allora sembra non poter più vivere senza la donna. La storia è nota: nove anni dopo, Dante la incontra per la seconda volta, ottiene da lei il tanto agognato saluto, ma, per evitare le chiacchiere dei malpensanti finge di volgersi ad altre donne, causando così la reazione di Beatrice, che sceglie di negare definitivamente il saluto al poeta. Beatrice è la figura femminile dominante nell’opera letteraria di Dante. È lei quella donna-angelo capace innalzare l’uomo dalla sua condizione di miseria animale per condurlo a uno stato di “gentilezza” superiore, secondo i canoni dell’amore cortese e stilnovistico. È lei a causare, prima con la negazione del saluto e poi con la morte, un insanabile dolore nel cuore del poeta, che trova riparo solo nello studio della filosofia. Sarà ancora lei ad accompagnare Dante nell’ultima parte del suo viaggio ultraterreno, conducendolo fino alla visione di Dio.

Gemma: la donna in carne ed ossa passata sotto silenzio

Se abbandoniamo per un attimo il piano della letteratura e cerchiamo invece di soffermarci sulla realtà dei fatti, ci troviamo di fronte a un’amara constatazione: i rapporti fra Dante e Beatrice furono limitati e quasi inesistenti. La donna vera, che fu presente come moglie nelle varie fasi della vita del poeta, ha infatti un altro nome, sconosciuto ai più: Gemma Donati. Di lei sappiamo pochissimo: il marito, così propenso a tessere discorsi ed elogi sull’amata Beatrice, non parla mai della sua legittima sposa. Nessuna allusione esplicita. Nessun cenno al matrimonio o alla moglie. Niente di niente. Ma, il silenzio, si sa, la maggior parte delle volte porta un significato più forte di mille parole, anche se è difficile da cogliere. E su questo silenzio di Dante nei confronti della moglie vari studiosi e appassionati dal poeta si sono interrogati, a partire da Boccaccio stesso, che nel Trattatello in Laude di Dante fornisce di Gemma un ritratto impietoso con indicazioni di per sé inesatte. Secondo l’autore del Decameron, infatti, Dante sarebbe stato spinto al matrimonio con la Donati dai propri parenti, perché speravano che in lei il giovane poeta avrebbe potuto trovare una consolazione per la morte prematura dell’amata Beatrice. Invece – continua il Boccaccio – il matrimonio provocò al poeta soltanto dolori, come dimostrerebbe il fatto che, dopo l’esilio, i due non si sarebbero mai più incontrati.

Certo io non affermo queste cose a Dante essere avvenute, ché nol so, come ché sia vero che, o simili cose a queste, o altre che ne fossero cagione, egli, una volta da lei partitosi, che per consolazione dei suoi affanni gli era stata data, né mai dove ella fosse volle venire, né sofferse che là dove egli fosse ella venisse giammai, con tutto che di più figliuoli egli insieme con lei fosse parente.

Noi sappiamo, però, che il matrimonio tra Dante e Gemma era già stato combinato già durante l’infanzia e, di fatto, non abbiamo elementi per dire con certezza che si trattò di un’unione infelice. Anzi gli indizi sembrano condurci in direzione contraria; in particolare sappiamo che i rapporti tra il poeta e i membri della famiglia della moglie furono sempre particolarmente buoni, come si può vedere da documenti che attestano la presenza del suocero Manetto Donati come garante di prestiti concessi a Dante. Inoltre, nonostante i Donati siano a capo della fazione che contribuirà alla cacciata del poeta da Firenze, dobbiamo constatare che egli parla sempre di tale famiglia con un certo riguardo all’interno della Commedia. Non possiamo però trasferire automaticamente questi indizi che riguardano la vita pubblica a una sfera privata. Il poeta non parla né bene né male della moglie, semplicemente non ne parla. Leggendo l’intera opera non riusciamo a percepirne in alcun modo la presenza. Vari studiosi hanno tentato di riferire versi e parti dell’opera di Dante a Gemma. Una su tutte la strampalata teoria secondo cui il poeta alluda alla moglie in quei pochissimi versi del V Canto del Purgatorio che narrano in struggente sintesi la morte di Pia de’ Tolomei (Purg. V, 133-6):

Ricorditi di me che son la Pia:
Siena mi fe’ disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma.

Secondo alcuni la parola gemma, con cui si conclude il canto, sarebbe un’allusione al nome proprio della moglie, una sorta di senhal, che, inserito in un contesto di violenza, alluderebbe a un’unione infelice. Sono ipotesi suggestive, ma certo non verificabili.

Se ci ancoriamo alla realtà, della bistrattata Gemma Donati sappiamo pochissimo: discendente dell’importante famiglia dei Donati, figlia di Manetto e Maria, cugina dei ben più famosi Corso, Forese e Piccarda Donati. Sappiamo che fu promessa sposa già nell’infanzia e che il matrimonio avvenne circa nel 1285. Da questa unione, felice o infelice che sia, nacquero tre o quattro figli: il primogenito Giovanni (della cui esistenza si è sempre dubitato anche se la sua presenza sarebbe confermata da un documento di un notaio fiorentino pubblicato nel 2016); Iacopo e Pietro che saranno tra i primi commentatori dell’epoca paterno e, infine, Antonia, che diventerà suora in un convento ravennate. Sappiamo poi con certezza che Gemma era viva al momento della morte di Dante, in quanto ella si impegnò a reclamare alle autorità fiorentine la sua parte di dote che era stata confiscata, assiema agli altri beni, al momento dell’esilio del marito (una cifra irrisoria, 12 fiorini).

Qui si fermano inesorabilmente le nostre conoscenze e si apre il largo campo delle ipotesi. Ne abbiamo riportate sopra alcune, molte altre se ne potrebbero fare. Sarebbe bello sapere, in particolare, se questa donna ignorasse l’amore di Dante per Beatrice o se avesse letto l’opera del marito. Domande destinate a restare irrisolte e sulle quali ci piace continuare a fantasticare, ponendoci, sempre, ancora una volta, dalla parte di Gemma.

* L’immagine in copertina è Monna Rosa di Dante Gabriel Rossetti, 1867, olio su tela.

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