Articolo,  Pareri sciolti

Premio Nobel, ne abbiamo davvero bisogno? O dei premi letterari in generale

Assegnato per la prima volta nel 1901, istituito dal discutibile personaggio di Alfred Nobel (1833-1896), il premio Nobel è sopravvissuto con incredibile longevità fino ad oggi e non minaccia di interrompersi prossimamente. Tante sono state nella sua storia le disavventure, moltissime le critiche e le perplessità, ma anche qualcosa di buono dopotutto. Proviamo a vedere punti di luce e d’ombra di questo rinomato premio (non solo letterario) e a dare una personalissima opinione a riguardo.

È il 1895, lo scienziato svedese Alfred Bernhard Nobel, inventore tra le varie cose della dinamite (cosa che non ce lo rende subito molto simpatico), è pieno zeppo di soldi abbastanza per devolvere parte del suo grande patrimonio a cause nobili o presunte tali. Nel suo testamento prescrive che si tenga annualmente una cerimonia di consegna di cinque premi, che ovviamente avrebbero avuto il suo nome, da assegnarsi a chi avesse reso maggiori servigi all’umanità nel campo della fisica, chimica, medicina, letteratura e pace.

Ma chi decide?

Partendo dal presupposto che il popolo sarà eternamente scontento di qualsiasi votazione, che sia o meno democratica, più o meno giusta, sempre ci sarà chi griderà al complotto, le bustarelle, le conoscenze, gli umma-umma e via dicendo. Ancora fatichiamo a starcene tranquilli su chi vince Sanremo, con tanto di giuria popolare che – a seconda di chi raccoglie più punti – può passare dall’essere la voce della verità a un branco di incompetenti senza nessun diritto di scegliere. Di gran lunga peggio è quando a scegliere un prestigioso premio internazionale (super borghesone) è una piccola commissione super elitaria (borghesissima), arroccata nel fastidioso nome di Accademia e per di più situata nel magico Nord, che santifichiamo tanto quanto odiamo, perché ci ricorda periodicamente la nostra inadeguatezza di poveri meridionali fanfaroni.

Quindi, l’Accademia è antipatica, ricca, elitaria, il pubblico è letteralmente tutto il mondo, vario, immenso e intrattabile; ergo, farci felici è impossibile.

Uno su mille ce la fa

Oltre a ciò, di scrittori bravi, capaci, che trattano tematiche interessanti ce n’è tanti, le nazioni nel mondo non sono poche e ogni scelta di uno scrittore meritevole presuppone sempre molti altrettanto bravi, che per questioni varie non sono stati scelti; e sì, magari tra quelle scelte alcune possono essere anche opinabili, ma è inevitabile.

Ma allora perché continuare a consegnarlo? Intanto stiamo parlando di un’istituzione non proprio di poco conto e, come noi italiani sappiamo meglio di tutti, la tradizione è lunga a morire. E inoltre, perché no? Non è che non ricevere il Nobel ti declassi automaticamente a scrittore di serie B e, infondo, anche riceverlo (salvo l’entusiasmo dei primi tempi) non ti consacra di diritto nell’Olimpo dei classici; potresti vendere molto bene l’anno in cui ricevi il premio, magari anche quello successivo, ma nulla vieta che dopo pochi anni il 99% della popolazione mondiale di lettori si sia completamente scordato di te.

In fondo, il premio Nobel (e annessi premi letterari che ogni nazione ha, vedi il nostro Strega, il Pulitzer negli USA o il Kleist in Germania) è solo la punta dell’iceberg di un problema, se così si vuol chiamarlo, ben più ampio: il valore delle cose è ineffabile. Ci illudiamo di poterlo decretare in modo oggettivo, di poter istituire giurie sempre più ristrette e specializzate che ci dicano cosa è meglio, ma la verità è che nulla è meglio, non in modo assoluto.

L’instabilità del gusto è un’evidenza spiazzante per tutti coloro che vorrebbero fare
affidamento su criteri di eccellenza immutabili. Il canone letterario è funzione di una decisione collettiva su quello che conta è letteratura, hic et nunc, e tale decisione è una self-fulfilling prophecy, come si dice in inglese: un enunciato la cui enunciazione incrementa la possibilità che l’enunciato a di essere vero. È impossibile andare oltre, la constatazione: mi piace perché mi hanno detto che deve piacermi.

– Antoine Compagnon, Il demone della teoria

Il successo delle nostre opere umane cambia come sabbia al vento, l’epoca in cui si vive, il luogo, la sensibilità lo determina, ma non è eterno. A noi sembra che Omero lo sia solo perché abbiamo una visione terribilmente ridotta, Omero è eterno perché non conosciamo nulla prima di lui (quindi qualcuno magari di altrettanto eterno caduto nel dimenticatoio) e perché l’umanità è talmente giovane da poter conoscere abbastanza bene le proprie origini.

Senza sconfinare nel filosofico, nulla piace per sempre, ma è giusto provare a darci delle regole, provare a stabilire cosa merita di ricevere visibilità, anche solo come esercizio mentale. Allenare il nostro gusto oltre al “mi piace” o “non mi piace” tipico dei bambini, giustificare le nostre posizioni di fronte a persone che la pensano diversamente, scatenare dibattiti, prendersela con le accademie.

Il Nobel ci lascia un consiglio, una giuria di esperti prova a dire quello che secondo lei merita di essere premiato e spesso i vincitori sono effettivamente degli scrittori di valore. Cogliamo l’occasione del Nobel per leggere qualcosa forse non di valore assoluto, ma quantomeno significativo in qualche modo (le scelte sono sempre motivate da discorsi molto lunghi, se si è curiosi), affiniamo la nostra sensibilità leggendo questi libri concedendoci il beneficio del dubbio: forse sto leggendo un buon libro, ma prima fammi verificare se è vero. Possiamo essere dei cartesiani più o meno buoni in questo modo, leggere qualcosa comunque di non terribile (sarà sempre meglio dei romanzetti della Litizzetto o simili spammati in prima vetrina alla Feltrinelli) e magari andare oltre i confini europei, che non fa mai male.

P.S. Ho letto alcuni Nobel recenti ultimamente e vi consiglio di dare una possibilità a: Gurnah, Coetzee, Mo Yan, Aleksievič, Ishiguro, vi terrò aggiornati su Saul Bellow e Annie Ernaux (che ha vinto quest’anno). 

* L’immagine in copertina è Giuseppe Arcimboldo, Il bibliotecario, 1562, olio su tavola, cm 97 x 71, Castello di Skokloster, Håbo.

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