Aftalina,  Articolo

Recensione a “La musica mancò”

Angelo ama Musiica da dieci anni, ma il suo sentimento non è corrisposto: lei, infatti, è sposata con Pietro e insieme a lui va via, lasciando Angelo ad annegare nella solitudine della sua casa con il suo servo (e caro amico) Idiozio.

Angelo durante alla sua assenza ripensa ossessivamente alla canzone che lei cantava, al suo viso, al suo corpo, ai suoi vestiti e scrive per lei innumerevoli poesie: a tal punto le immagini di lei infestano la sua mente che Angelo la idealizza, la angelica, la eleva così in alto che i veri contorni di Musiica si perdono e si confondono e la realtà si ingarbuglia con l’immaginazione.

Musiica, da donna concreta, si trasforma in astrazione, mentre il sentimento di Angelo si trasforma in fisima: si domanda come sarebbe la sua vita se lei lo avesse amato, se lei avesse scelto lui, se l’avesse visto come lui ha visto lei. E allora Angelo aspetta (fatale è l’attesa per l’innamorato), aspetta che lei torni, che lei lo veda, che lei lo ami. L’attesa accresce l’angoscia, l’attesa è il vero peccato.

Angelo non riesce ad accettare che l’amore, come gli dice Musiica, non è meritocratico: è solo Fortuna, Tyche (Τύχη) cieca che calpesta quelli che non accarezza. Non esiste tempismo, non esiste impegno, non esiste perfezione, nessuna capacità umana né sforzo può cambiare la volontà di un cuore.

E questa consapevolezza non fa altro che acuire il dolore di Angelo fino a condurlo alla follia, una follia che lo porterà a stringere un patto con Lucifero per avere Musiica tutta per sé, ma neanche quello sarà sufficiente. Niente potrà mai cambiare se non sarà Angelo a cambiare, a evolversi e a lasciare dietro di sé ciò che non si può avere e mai si avrà.

Angelo commette due grandi peccati, che sono quelli che ogni essere umano, almeno una volta nella vita, contro la sua volontà, si trova a compiere: Angelo aspetta e l’attesa è la condanna più crudele, la fatale personificazione dell’innamorato, che aspetta sempre qualcosa che non arriverà mai. E poi Angelo non lascia andare, come gli ha sempre suggerito saggiamente il suo amico Idiozio: Angelo trattiene morbosamente ogni ricordo, ogni parola, ogni melodia, ogni dettaglio, trattiene ogni cosa e la rivive nella sua mente e nelle sue poesie come una canzone di cui conosce ogni strofa e melodia.

Angelo non ha saputo lasciar andare. Non ha saputo guardare Musiica un’ultima volta, al buio, non ha saputo guardarla intensamente sapendo che era l’ultima volta, sapendo che era stato sconfitto da una forza che nessuno mai potrà vincere. Non ha saputo lasciare andare lei e perdonare se stesso. Angelo non ha lasciato andare né lei né stesso, Angelo non ha conosciuto la resa, che arreca un dolore molto più misericordioso di quello dell’attesa.

Ma forse, alla fine, anche Angelo è riuscito a trovare la sua pace.

Uno psicodramma profondo, che denuda l’animo umano nei suoi risvolti più intimi e segreti, che rivela quelle verità di cui spesso ci vergogniamo e che vogliamo nascondere.

I quattro attori in scena riempiono non solo il palco, ma tutta la sala e interpretano magistralmente una storia di dolore, amore, attese e tragedie. Una menzione speciale va a Ludovico Giurlanda, autore del dramma nonché protagonista (e tra i fondatori di questo blog), che è stato in grado non solo di creare una sceneggiatura così intensa e personale, ma di darle vita sul palcoscenico grazie alla sua coinvolgente performance.

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