Inedito,  Prosa

Ritardo

È tardi. Affretto il passo verso la macchina, la strada si inclina leggermente, diventa più ripida, sotto le suole delle scarpe sento un terreno sdrucciolevole, di massi appoggiati alla rinfusa. Inspiro, e allungo il passo. Infilo la chiave nella macchina, le borse gettate sul sedile del passeggero; mentre giro la chiave: borraccia, portafoglio, libro delle versioni. Il display dell’orologio si illumina, subito sotto il quadrante della velocità: 14:38. Avevo detto di partire alle 14:30. La lancetta della velocità si alza di scatto da 0 km/h a 20, finisco la manovra, prima e la macchina scivola via sulla strada.

Se non incontro nessuno per la strada dovrei farcela, niente trattori o macchine lente. Mi ricordo di accendere le luci di posizione; il sole batte in modo fastidioso sulla terra tutto attorno, riverbera eccessivamente, allungo la mano per prendere gli occhiali da sole e una nebbia calda scende sulla vista. Rallento per dare precedenza, poi mi immetto.

È tardi, ancora mi rigira nello stomaco il pranzo, in bocca il sapore del dentifricio si mescola al retrogusto amaro del caffè, parvenze di sapori sovrapposti. Una tensione mi si propaga dal collo rigido, lungo le spalle, abbraccia la punta delle scapole, mi passa sotto la curva del seno e si raggruma alla bocca dello stomaco. Mi ricordo di allentare la mascella, avevo i denti contratti, passo la lingua sugli incisivi taglienti, sulle cunette dei molari. Testo la loro pulizia, controllo se ho passato bene lo spazzolino, deglutendo risento il sapore di menta. Mi torna in mente un gioco di quando ero bambina, cercavo di accumulare quanta più saliva in bocca, resistendo all’impulso meccanico di deglutire, forzavo la lingua in una fissità concava, formavo come una piscinetta, immaginavo gocce su gocce di bava accumulate nel mio laghetto artificiale. Quando ero stanca, deglutivo come un cucchiaino di saliva, una sorsata dell’acqua del mio corpo, un autosostentamento, un gioco di immortalità, autobersi, lubrificare il proprio corpo senza aiuti esterni.

Sono già alla rotonda, terza uscita, poi alla prossima prima, il cruscotto segna 14:46. Oggi non avrei la pazienza di accumulare tutto quel liquido, ne sentieri l’eccesso di materia viva putrescente, finirei per sputarlo, rivoli mi colerebbero fino alla maglietta.

È tardi e sono già stanca, un bruciore si propaga alla base degli occhi, sbatto le palpebre più volte, ricordo cosa ha detto l’oculista, sbattere tanto le palpebre. Come quando ho il raffreddore e cerco di addormentarmi, anche respirare diventa un comando, inspirare, espirare, sbattere le palpebre, poi di nuovo, non stringere i denti, allenta la mascella, giù le spalle, morbide, cambia marcia e poi di nuovo: polmoni, denti, spalle. Vivere è un lavoro a tempo pieno, controllare di non morire, farsi vedere vivi.

L’ultima rotonda e poi sono arrivata, ma vedo un’indicazione che mi distrae: autostrada. Per dove? Ho una pessima memoria per le strade. Fin dove si può arrivare seguendo un’autostrada? Non uscire mai, continuare dritti, poi appena si arriva a un’uscita obbligata, seguire le indicazioni per la prossima, sempre più lontana, magari fuori dal paese e poi sempre più in là. Quanti soldi ho nel portafoglio? I 20 euro delle ripetizioni di ieri, i 30 che mi ha dato mia madre, poi il bancomat. Potrei mangiare un panino in un posto qualsiasi, dormire in macchina e poi continuare, ancora. Immettersi e uscire, poi rientrare, sorpasso, cambio corsia, attenzione ai lavori in corso, lucine, segnalazioni. Poi mettere la musica, finestrini su perché in autostrada si va troppo veloce, come quando si andava al mare, la nonna, i seggiolini, i parasole con le ventose attaccate ai finestrini, non appoggiate i piedi alle manovelle che li tirate giù.

Sono in ritardo. E se non andassi più? Se non tornassi più, andare via, ora che se ne accorgono tutti è già tardi, scomparsa nel nulla. Nessuno saprà mai che ero in ritardo. Mai un ritardo, diploma, laurea, sveglia presto, a dormire prima delle 23, leggere, studiare, gli schemi, i libri, riassumere tutto, non dimenticare nulla. E se poi dimentico? Rileggere, ripassare, essere pronta a ogni domanda. C’è sempre qualcuno di più bravo, a che pro? C’è chi alla mia età ha già pure la magistrale, chi già lavora e ha una casa, un figlio, lei ha già scritto un libro, un diploma all’accademia, ha imparato a disegnare bene. Io no. Io non so giocare a pallavolo, non so correre in maniera coordinata, non mi sono laureata col massimo, non mi chiederanno di fare un dottorato, non ho tutti 30 e lode, i professori non si ricordano di me, non ho letto quel libro, non conosco quella canzone. Cosa fai oltre a studiare? Allento la mascella, accumulo saliva nella bocca e poi non riesco a sputarla, la bocca non risponde più, la bava sbatte contro i denti mal lavati, un odore di sudore e acidità sale dal mio corpo, soffoco tra i rivoli della mia bava che ho accumulato. È tardi ma io sono più indietro di tutti, tutte sono più belle, meglio vestite, più in orario, hanno più talento, fanno cose più difficili e se non sono belle hanno più fascino, più carisma, boccoli, occhi di fata, sanno disegnare, giocare a pallavolo, ballare, non devono ricordarsi di sbattere gli occhi, di allentare le spalle, di separare i denti. Loro sanno sputare il di più del loro corpo colloso, non soffocano schifosamente tra se stesse.

Spengo la macchina. 14:57. Un po’ giusta, la prossima volta ricordarsi di partire prima. Chiudo la macchina, suono il campanello, inspiro, allento la mascella, le spalle giù, rilasso gli addominali, apro la porta.

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