
Ippocrate: il padre della medicina greca antica
Le malattie che le medicine non curano, le cura il ferro;
quelle che il ferro non cura, le cura il fuoco;
quelle che il fuoco non cura, queste bisogna ritenerle incurabili.– Ippocrate, Aforismi, VII, 87.
Vita
La critica moderna concorda sul fatto che Ippocrate sia realmente esistito, ma le testimonianze giunte fino a noi sono contradditorie e ricche di elementi fantasiosi e favolistici.
Platone e Aristotele, suoi contemporanei, sono per noi le fonti più affidabili: sarebbe stato il medico più famoso della sua epoca e il fondatore della medicina scientifica greca.
Ippocrate, figlio di Eraclide, nacque intorno al 460 a.C. nell’isola di Cos, vicino alle coste dell’Asia Minore. Faceva parte della famiglia degli Asclepiadi, le cui origini sarebbero da ricondurre ad Asclepio, figlio di Apollo e dio della medicina; sull’isola, inoltre, esisteva una corporazione di medici che, insieme a quella asiatica di Cnido (in Caria, regione costiera situata nell’attuale Turchia), fu uno dei primi poli di esercizio e di diffusione della medicina greca.
Fu un medico itinerante e morì in età avanzata vicino alla città di Larissa, in Tessaglia (regione della Grecia centrale), nel 370 a.C.
Opere
Ad Ippocrate sono attribuiti cinquantadue scritti, il cosiddetto Corpus Hippocraticum: in realtà queste opere sono state prodotte nelle scuole di Cos e Cnido e tramandate sotto il suo nome, dal momento che era il medico più autorevole e famoso della tradizione classica, quindi è davvero complesso stabilire quali siano i testi composti da Ippocrate stesso e quali quelli composti da altri medici.
La composizione del Corpus va dagli ultimi decenni del V fino alla fine del IV sec. a.C. (ma ci sono dei lavori riconducibili al II/I sec. a.C. ) e il dialetto usato è quello ionico; si trovano scritti divulgativi, destinati ad un pubblico ampio e non specialistico, e trattati, rivolti invece ai medici.
Il Corpus fu fondamentale perché sancì la nascita di un sapere medico in forma scritta, forgiando una terminologia scientifica e creando una tradizione medica capace di svilupparsi e innovarsi.
Molte sono le stoccate contro i guaritori popolari, che vengono accusati di essere dei ciarlatani e non in grado di curare i malati: la loro visione miracolosa e demonica della medicina si andava infatti a scontrare con l’atteggiamento scientifico che si stava creando a partire dal VI/V sec. a.C. in Magna Grecia e in Grecia.
Per la medicina ippocratica è fondamentale l’osservazione e l’interpretazione dei sintomi, dal momento che le malattie non sono provocate dalla magia e/o divinità, ma da ragioni naturali e fisiologiche: i medici antichi credevano infatti che nell’organismo fossero presenti quattro umori (fluidi organici), dalla cui armonia o scompenso derivassero rispettivamente il benessere e le malattie. I quattro umori della dottrina cosiddetta “umorale” sono:
- Sangue: nasce dal cuore;
- Flegma: prodotta dal cervello e che si propaga in tutto il corpo;
- Bile gialla: prodotta dal fegato;
- Bile nera: va dalla milza allo stomaco.
Nel Corpus iniziano a crearsi, inoltre, le varie branche fondamentali della medicina, come la ginecologia, la traumatologia, la chirurgia ecc.
Alcuni tra i testi più significativi del Corpus sono:
- Sul morbo sacro (Περὶ τῆς ἱερῆς νούσου): questo opuscolo è dedicata allo trattazione dell’epilessia, ma è anche un importante perché ribadisce la superiorità dell’approccio scientifico rispetto a quello magico/religioso per il trattamento delle malattie;
- Giuramento (Ὃρκος): il più antico documento che definisce la deontologia medica;
- Prognostico (Προγνωστικόν): scritto consacrato all’analisi metodica dei sintomi, la cui osservazione e decriptazione sono due dei cardini dell’arte medica;
- Sulle arie, acque e luoghi (Περι ἀέρων, ὑδάτων, τόπων): in questo testo Ippocrate sostiene che l’ambiente circostante condizioni le caratteristiche fisiche e morali delle persone che vi ci abitano (determinismo ambientale).

Epidemie
Redatta probabilmente fra il 415 e il 400 a.C., quest’opera raccoglie i quadri clinici stilati da vari medici durante le loro visite presso i malati di molteplici città. In origine le Epidemie erano composte unicamente dal libro I e III, che quindi formavano un unico testo; in età tarda, però, furono aggiunti i libri II, IV, V, VI e VII.
Il medico, libero da ogni pregiudizio e in modo critico, cerca sostanzialmente di analizzare i sintomi e prevedere la gravità della malattia, di istituire un rapporto fra individuo, malattia e ambiente geografico e socio-culturale, di reperire la storia del malato e dalla patologia, di differenziare tale indagine per età, e di analizzare la natura umana nella sua totalità, sia dal punto di vista anatomico sia fisiologico.
Ippocrate non classifica e non denomina i morbi esaminati, dal momento che non vuole rinchiudere in un’etichetta astratta i vari quadri sintomatici.
Un altro aspetto interessante delle Epidemie è la varietà dei personaggi che vengono presentati, appartenenti a generi, luoghi e ceti sociali differenti: troviamo donne (soprattutto puerpere), schiavi, ricchi proprietari terrieri e molti altri.
La storia che qui vi presento (Epidemie III, 12) è quella di una giovane ragazza di diciassette anni, il cui nome non viene riportato, morta due settimane dopo aver dato alla luce il suo primo figlio, un maschietto: in epoca antica il parto era, infatti, la principale causa di morte per le donne, le quali perivano giovanissime, come ricordano altri episodi delle stesse Epidemie e le molte epigrafi funerarie erette in loro ricordo.
L’atteggiamento assunto dal medico davanti ai sintomi e ai dolori della paziente è empirico e molto meticoloso.
* L’immagine in copertina è una miniatura proveniente da un manoscritto del XV secolo degli “Aforismi” tradotti in latino che raffigura Ippocrate seduto ed intento a leggere un libro.

Dodicesima malattia
La donna, che giaceva malata presso la piazza dei Bugiardi, avendo partorito con dolore il primo figlio, un maschio, fu colta da febbre. Subito cominciò ad aver sete, nausea, le doleva lo stomaco, lingua disseccata; l’intestino era disturbato con scarse feci rade, non dormì. Il secondo giorno rabbrividì un poco, febbre acuta, scarso sudore freddo attorno alla testa. Il terzo giorno fu doloroso: dall’intestino evacuò feci crude, rade, copiose. Il quarto rabbrividì, s’aggravò in ogni senso; insonnia.
Il quinto giorno fu doloroso. Il sesto stesso andamento; dall’intestino molte evacuazioni acquose. Il settimo rabbrividì, febbre acuta, sete, una grande irrequietezza; verso sera sudò freddo dappertutto, gelo, estremità fredde, che non più si riscaldavano: e di nuovo la notte rabbrividì, le estremità non si riscaldavano, non dormì, delirò un poco, e presto riprese coscienza. L’ottavo giorno verso mezzodì tornò a scaldarsi, sete, stato comatoso, nausea, vomitò scarse sostanze biliose, giallastre. Notte difficile, non dormì, minse tutta insieme molta urina, inconsciamente. Il nono giorno migliorò in ogni senso; stato comatoso. Verso sera rabbrividì un poco, vomito scarso, bilioso. Il decimo brividi, la febbre crebbe, non dormì affatto: verso l’alba molta urina senza sedimento; le estremità si riscaldarono. L’undecimo giorno vomitò sostanze biliose, color verderame. Rabbrividì poco dopo, e di nuovo estremità gelide; verso sera sudori, brividi, vomitò molto, notte dolorosa. Il dodicesimo giorno vomitò copiose sostanze nere, fetide; molti singhiozzi, sete tormentosa. Il tredicesimo giorno nero, fetido, abbondante vomito; brividi; verso il mezzogiorno restò senza voce. Il quattordicesimo sangue dal naso: morì.
Essa ebbe sempre l’intestino umido; brividi; età circa diciassette anni.
(Traduzione di Mario Vegetti)
Ἄρρωστος δωδέκατος.
Γυναῖκα, ἥτις κατέκειτο ἐπὶ ψευδέων ἀγορῇ, τότε τεκοῦσαν πρῶτον ἐπιπόνως ἄρσεν, πῦρ ἔλαβεν. Αὐτίκα ἀρχομένη, διψώδης, ἀσώδης, καρδίην ὑπήλγεε· γλῶσσα ἐπίξηρος· κοιλίη ἐπεταράχθη, λεπτοῖσιν, ὀλίγοισιν· οὐχ ὕπνωσεν. Δευτέρῃ, σμικρὰ ἐπερρίγωσεν· πυρετὸς ὀξύς· σμικρὰ περὶ κεφαλὴν ἵδρωσε ψυχρῷ. Τρίτῃ, ἐπιπόνως· ἀπὸ κοιλίης ὠμὰ, λεπτὰ, πουλλὰ διῄει. Τετάρτῃ, ἐπεῤῥίγωσεν· πάντα παρωξύνθη· ἄγρυπνος. Πέμπτῃ, ἐπιπόνως. Ἕκτῃ, διὰ τῶν αὐτῶν· ἀπὸ κοιλίης ἦλθεν ὑγρὰ, πουλλά. Ἑβδόμῃ, ἐπερρίγωσεν· πυρετὸς ὀξύς· δίψα πουλλή· βληστρισμός· περὶ δείλην, ἵδρωσε δι’ ὅλου ψυχρῷ· ψύξις· ἄκρεα ψυχρά· οὐκ ἔτι ἀνεθερμαίνετο· καὶ πάλιν ἐς νύκτα ἐπερρίγωσεν· ἄκρεα οὐκ ἀνεθερμαίνετο οὐχ ὕπνωσεν· σμικρὰ παρέκρουσε, καὶ πάλιν ταχὺ κατενόει. Ὀγδόῃ, περὶ μέσον ἡμέρης ἀνεθερμάνθη· διψώδης· κωματώδης· ἀσώδης· ἤμεσε χολώδεα, σμικρὰ, ὑπόξανθα· νύκτα δυσφόρως· οὐκ ἐκοιμήθη· οὔρησε πουλὺ, ἀθρόον, οὐκ εἰδυῖα. Ἐνάτῃ, ξυνέδωκε πάντα· κωματώδης· πρὸς δείλην, σμικρὰ ἐπερρίγωσεν· ἤμεσε σμικρὰ, χολώδεα. Δεκάτῃ, ῥῖγος· πυρετὸς παρωξύνθη· οὐχ ὕπνωσεν οὐδέν· πρωῒ, οὔρησε πουλὺ, ὑπόστασιν ἔχον· ἄκρεα ἀνεθερμάνθη. Ἑνδεκάτῃ, ἤμεσεν ἰώδεα, χολώδεα· ἐπερρίγωσεν οὐ μετὰ πουλύ· καὶ πάλιν, ἄκρεα ψυχρά· ἐς δείλην, ῥῖγος· ἱδρὼς ψυχρός· ἤμεσε πουλλά· νύκτα, ἐπιπόνως. Δωδεκάτῃ, ἤμεσε πουλλὰ, μέλανα, δυσώδεα· λυγμὸς πουλύς· δίψος ἐπιπόνως. Τρισκαιδεκάτῃ, μέλανα, δυσώδεα, πουλλὰ ἤμεσεν· ῥῖγος· περὶ δὲ μέσον ἡμέρης ἄφωνος. Τεσσαρεσκαιδεκάτῃ, αἷμα διὰ ῥινῶν· ἀπέθανεν. Ταύτῃ διὰ τέλεος, κοιλίη ὑγρή· φρικώδης. Ἡλικίη, περὶ ἔτεα ἑπτακαίδεκα. Καῦσος.
Bibliografia
- Ippocrate, Testi di medicina greca: compralo qui.
- Ippocrate, Natura della donna: compralo qui.


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