
L’immondo: il libro (difficile) di G.H.
Un libro che ho letto di recente si chiama La passione secondo G.H., della scrittrice ucraina naturalizzata brasiliana. È stata una lettura prima strana, poi difficile, e infine soddisfacente.
Non fraintendere
È un libro che impiega tempo a germogliare, la lettura è solo la prima fase di un processo molto lungo. Ho poi letto in una recensione di Silvia Gasparoni che Lispector sosteneva:
La reazione dei lettori dinanzi ai miei libri ha poco a che fare con la comprensione e molto di più, invece, con il sentire.
Questa frase esprime (appunto) qualcosa che ho sempre sentito come una verità, che la mia io-lettrice ha sempre intuitivamente accolto. Spesso mi capita di rammaricarmi di non capire a pieno un libro, sento che mi sfuggono dei particolari e questo mi infastidisce, accresce un sentimento di inadeguatezza. Eppure, cosa vuol dire capire un libro? Entrare esattamente nella mente dell’autore? O piuttosto applicare, sentire, le sue parole alla mia condizione di persona intenta a leggere oggi?
Umberto Eco, in un suo studio sul lettore, arriva a dire: «esistono tante interpretazioni di un libro quanti sono i suoi lettori». O per dirla alla Carmelo Bene: «Non pretendo che di capire, ma quantomeno di non fraintendere».
Ecco, allora, nuovo proposito di lettrice: se non proprio capire, non fraintendere.

L’immondo
La storia è semplice: una donna, G.H., è sola in casa sua, la domestica se n’è andata, quindi lei decide di rimettere un po’ di ordine nell’appartamento. Inizia dalla stanza della donna che lavorava per lei, dentro un armadio trova una blatta, essere stomachevole che la disgusta fin dall’infanzia. Superando il momento di ribrezzo riesce a ucciderla pizzicandola nell’anta dell’armadio. Dalla visione della materia viscida e putrescente che cola dal corpo cavo della blatta, la donna inizia un’intera revisione della sua vita, riconsidera la sua visione del mondo. La blatta diventa lo strappo nel velo di Maya, da cui partire per un lungo monologo interiore.
Tienimi la mano perché sento che sto per andare. Sto di nuovo per andare verso la vita divina più primaria, sto per andare verso un inferno di vita cruda. Non lasciarmi andare perché sono prossima a vedere il nucleo della vita – e, tramite la blatta che perfino ora rivedo, tramite quel campione di calmo orrore vivo, ho paura di non sapere più, dentro quel nucleo, che cos’è la speranza.
La blatta è pura seduzione. Ciglia, ciglia, che sbattendo chiamano. Io pure, che mi stavo a poco a poco riducendo a quanto in me era irriducibile, io pure avevo migliaia di ciglia che sbattevano, e con le mie ciglia io avanzo, io protozoo, proteina pura.
La blatta, lo scarafaggio, è «l’immondo», cioè fa parte di quell’elenco di prescrizioni presenti nella Bibbia, nel Levitico,11, sugli animali che vanno mangiati e quali no. Non andranno mangiati «gli impuri»:
Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri; li considererete impuri. […] Sarà per voi obbrobrioso anche ogni insetto alato che cammina su quattro piedi.
– Levitico, 11
Sono le parole che Dio pronuncia sul monte Sinai a Mosè, con esse egli prescrive ciò che fa parte del mondo di diritto, e ciò che è im-mondo, fuori da esso, non inserito nel sistema.
L’animale immondo della Bibbia è proibito poiché l’immondo è l’origine – esistono infatti cose create che non si sono mai alterate e si sono conservate identiche a quando sono state create, e soltanto quelle hanno seguitato a essere l’origine, tuttora completa. E siccome sono l’origine non se ne poteva mangiare, il frutto del bene e del male – mangiare la materia viva mi scaccerebbe da un paradiso di orpelli e mi porterebbe per sempre a camminare con un bastone per il deserto. E parecchi erano stati coloro che avevano camminato con un bastone per il deserto. Peggio – mi porterebbe a vedere che anche il deserto è vivo e contiene umidità, e a vedere che ogni cosa è viva e si compone della stessa materia.
Lo ripeto: è un libro complicato, ma contiene una verità ineffabile. Con queste parole, con questo corpo giallino e viscido che fuoriesce lentamente dal guscio vuoto della blatta, Lispector vuole esprimere quel sentimento di orrore di fronte alla materia viva, all’organicità del mondo. Ogni aspetto della vita è vivo proprio perché putrescente, cioè pronto a morire, umido. È umida la pera succosa, pronta a diventare marcia, il sangue che ci pulsa nelle vene, che prima o poi sarà ricoperto di mosche, la pioggia che alimenta un pullulare di vermi e batteri che si nutrono di tutto ciò che è già morto. La vita è inevitabilmente questa morte, mascherata da «un paradiso di orpelli». Quando Eva mangia la mela non sta scoprendo la bellezza della vita, ma l’ineluttabilità della morte, Dio – secondo G.H. – ci tiene lontano dall’immondo perché lì sta la verità della nostra esistenza futile e marcia. Eppure l’impuro c’è, siamo noi, e quando incontriamo la blatta, essa soltanto ci ricorda la verità che vorremmo non ammettere.
* L’immagine in copertina è un acquerello anonimo di una blatta.


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